In merito al disegno di legge sull'autonomia differenziata c'è una legittima preoccupazione da parte dei cittadini del Sud Italia. Il dibattito pubblico al riguardo, con lo scontro tra il Presidente del Consiglio Meloni e il Presidente della Regione Campania De Luca, ha invece assunto toni grotteschi che umiliano, innanzitutto le istituzioni, ma soprattutto la sacrosanta pretesa di assistere ad un serio confronto tra le opposte ragioni.
La manifestazione a Roma, promossa da De Luca con un manipolo di sindaci, non ha ricevuto udienza dal Governo, servendo fatalmente solo al teatrino delle parti. Ma chi governa ha il dovere di non sottrarsi allo scontro d'idee, pur se mosso strumentalmente. Alla Meloni si chiede: è la riforma dell'autonomia differenziata rilevante per il futuro dello Stato? è, inoltre, la Campania una Regione cardine per il traino del Mezzogiorno, e, dunque, del paese? Se la risposta è si, ebbene, non scappi dal confronto pubblico richiesto da De Luca a proposito. Il dibattito in Parlamento si è dimostrato quantomai inadeguato, in quanto i diversi partiti, al loro interno, hanno mostrato diverse posizioni in merito, trattandosi di questione non di appartenenza politica, ma territoriale. Dunque, per rivendicare le ragioni del Governo sul disegno di legge, è auspicabile un suo confronto diretto con i rappresentanti politici promotori del dissenso, De Luca in primis.
I cittadini hanno il diritto di assistere ad un dibattito serio su questo tema così determinante per il futuro del paese. Se si sottrae, vuol dire che la Meloni, di fronte al destino dell'unità d'Italia, che tanto dice di amare, scappa. Scappa di fronte alle proprie responsabilità esattamente come il suo Duce, travestito da coniglio per raggiungere la frontiera.
La guerra non è la conseguenza di un dialogo
non terminato o non compreso, la guerra si sceglie di farla.
Eppure, puntualmente, a commento di essa, alcuni intellettuali o esperti si affannano, come Cassandre stonate, a spiegare le ragioni dei conflitti, a raccontare lo strazio per i civili, a proporre faticosissime soluzioni.
Cadono nell'equivoco di una presunzione moralista secondo cui il bene guiderebbe le nostre vite, come se la ragione di pochi potesse fermare la barbarie di molti. In realtà, a tanti sono ben chiare le ragioni dei conflitti, le inenarrabili tragedie che comportano, ma, nonostante questo, essi anelano la guerra e le sue conseguenze. La guerra, difatti, prima ancora che come scontro culturale e sociale, si configura come fenomeno antropologico; attiene alla costituzione primordiale del genere umano, alla violenza prevaricatrice che precede la pietà, la quale non è patrimonio genetico di tutti, ovvero al sadismo che pervade alcuni, retaggio del nostro essere animale: esseri primitivi, incivili insomma.
Alle colpe di governi sanguinari capeggiati da siffatti uomini, si somma l'ipocrisia della massa inerte a cui vengono preventivamente celati i volti e le urla strazianti delle vittime durante i reportage dai teatri di guerra. E di uno show si tratta, in effetti, edulcorato a vantaggio della cattiva coscienza collettiva, un veleno propagandisticamente somministrato a piccole dosi per renderci immuni da qualsiasi nefandezza.
La cultura alla pace e al dialogo tra i popoli, la conoscenza possono aiutare. Ma il sentire comune è talmente anestetizzato al dolore altrui che non bastano. Bisognerebbe strappare via il sipario della messa in scena e fare pratica viva, dare letteralmente corpo alle sofferenze degli altri. Pubblicità "progresso", campagne di sensibilizzazione di massa atte a disturbare il sonno della ragione in cui siamo avviluppati, che insinuino nella cinica quotidianità i nostri simili martoriati dalla nostra indifferenza. Per i più recidivi immagino centri di educazione all'umanità, magari vecchie caserme militari in disuso. Una detenzione forzata alle pene del prossimo, con forme di coercizione alla compassione: come il "trattamento Ludovico" in Arancia Meccanica, ore ed ore di filmati senza censura dello strazio dei civili vittime di guerra, con meccanismi di costrizione oculare che non consentano di chiudere gli occhi o distogliere lo sguardo: uomini, donne e bambini in disperazione, tra cumuli di macerie, mutilazioni e morte ovunque. Cacciargli negli occhi le aberrazioni del presente, cavargli una lacrima con la forza.
Agli irrecuperabili andrebbe tolto il diritto di voto e la patria potestà, affinché non allevino altre bestie, come loro.
Il problema dell'Italia non è la destra, che ha divorato le menti e il cuore della maggioranza inerte del paese. La destra fa "la destra", attua meccanicamente ciò che ha in programma di fare (in modo militaresco), e ci riesce benissimo. Anche perché propagandare e mettere in pratica i disvalori di destra è molto più facile che seminare e fare fruttare i valori di sinistra: fare appello all'individualismo e alle insicurezze di una massa di individui è molto più semplice che far germogliare in essi il senso di comunità e la comprensione reciproci.
Il problema del nostro sventurato paese è, piuttosto, la sinistra, la sua colpevole sufficienza. Dalla morte di Berlinguer è iniziato il suo storico declino, come lo spegnersi di un faro della coscienza civile. Ma è dalla discesa in campo di Berlusconi del 1994 che la sinistra, invece di avere un sussulto, ha sventuratamente smarrito, e poi tradito, il senso della sua ragione d'essere: si è registrato un indietreggiamento graduale su tutti i fronti, una compromissione al ribasso che oggi è diventata corresponsabilità, complicità.
Un meccanismo perverso che Giorgio Gaber, nei suoi profetici monologhi, aveva ampiamente previsto: la dissoluzione in atto dell'individuo, dunque del popolo, quale pilastro della democrazia. Ciò che è più grottesco è che anche lui, scegliendo per moglie una donna forzista, avrà ceduto al compromesso, contrabbandando la parte più ideale di sé al demone affascinante della destra, sentenziando l'ineluttabilità e l'irreversibilità della degenerazione in corso.
Stupiti,
scopriamo in questi giorni che Putin è un pazzo sanguinario. Tutto giusto,
quindi inutile ripetere ciò che è di dominio pubblico su di lui e la Russia. Ma, di quanto la NATO -
cioè gli americani - sia corresponsabile di questa guerra annunciata, pochi,
nelle testate occidentali, parlano, e quei pochi che lo fanno vengono additati
di lesa maestà.
Gli USA provocano consapevolmente e sistematicamente la Russia dalla fine della seconda guerra mondiale, polarizzando il quadro internazionale e schiacciando l'Europa in una morsa, avvantaggiandosene politicamente ed economicamente. A confermarlo ci sono le parole dell'attuale Presidente degli Stati Uniti che, riguardo all'incauto allargamento ad est della Nato, disse nel 1997: "Io penso in primo luogo che l'ammissione a breve termine nella NATO degli Stati Baltici provocherebbe delle conseguenze negative nei rapporti NATO e Russia, tra USA e Russia. Se mai esistesse una circostanza capace di far propendere verso una reazione vigorosa e ostile la Russia, sarebbe proprio questo".
Per queste ragione gli Stati
europei dovrebbero, con un colpo d'ala, sciogliere la santa alleanza con gli
americani, uscire dalla NATO e federarsi - finalmente - negli Stati
Uniti Europei, dichiarandosi neutrali. Il Patto Atlantico è un abbraccio
mortale che avvantaggia solo gli Stati Uniti d'America, ergendoli a guida
dell'Occidente. Ma questa autorevolezza sugli altri Stati è infondata, questo
status non glielo ha accordato nessuno.
Al
contrario il popolo statunitense ha pochi primati di cui vantarsi. L'americano medio è
gonfiato sin da piccolo da un nazionalismo becero ed è fieramente arrogante
rispetto agli altri, ergendosi impettito su chiunque provenga da un altro paese
che non sia il suo - e non si comprende su che basi: un paese relativamente
giovane - dunque un nano della storia - la cui genesi racconta di uno sterminio
degli indigeni propagandato per "conquista del west". L'imprinting è
dunque quello di conquistare e depredare ammantandolo di eroismo. E, forse, l'arroganza USA è sintomo proprio di un inconscio complesso di inferiorità verso gli altri.
Ed
hanno ragione a sentirsi tali. Non hanno nulla da insegnare all'Europa, nessun
primato da sventolare orgogliosamente, se non quello esibito con la bruta forza
militare. Sono una costola della millenaria civiltà mediterranea, un surrogato
ignorante venuto pure parecchio male. Avrebbero dunque bisogno di una
gigantesca seduta psicoanalitica di massa. A fargliela - inascoltati - ci hanno
pensato i loro grandi intellettuali, che, infatti, appartengono tutti alla
controcultura. Sono i "non allineati" al mantra comune del sogno
americano. In verità, il grande sogno americano è un bluff sul tavolo da gioco
del mondo, un incubo. La tanto osannata democrazia americana è una farsa, il
loro modello sociale lo è. Una società armata fino ai denti, strada per strada,
pianerottolo per pianerottolo e divisa in caste: una manciata di Paperoni e una
massa nevrotica di acquirenti compulsivi. Tutto è profitto, tutto fa business,
finanche la salute (se non hai la possibilità di pagarti un'assicurazione
sanitaria crepi). Nelle grandi metropoli americane, così come nelle loro
sconfinate praterie, hai l'impressione che se chiudi i grandi megastore non sai
dove andare. Il Dio denaro diffonde la sua legge amorale su ogni cosa e le
pecore vanno dove vuole il cane. Cosa avremmo da imparare dal vuoto benessere
che ci propagandano giornalmente? Per bombardare gli altri Stati non servono
necessariamente i missili e le portaerei.
Inoltre,
la comune solfa che dobbiamo essergli riconoscenti per averci liberati dai
tedeschi durante la seconda guerra mondiale ha stancato. Intanto, il nazifascismo che infestava tutta l'Europa tu sconfitto da un'alleanza eterogenea di paesi, tra cui anche la Russia
(Auschwitz e Berlino furono liberate dall'Armata Rossa), quindi dovremmo essere
riconoscenti e genufletterci a vita anche ai russi? Eppure, forse perché
"bombardati" da decenni di film propagandistici hollywoodiani, dove
c'è sempre qualche yankee che, all'ultimo respiro, salva il mondo dalla catastrofe, alla domanda su
chi abbia sconfitto i tedeschi nel secondo conflitto mondiale, i più rispondono
candidamente "gli americani", dimenticandosi, tra gli altri, degli inglesi e dei russi.
Comunque sia,
essere riconoscenti non significa essere sudditi, le cambiali non durano in eterno. Dalla fine del secondo conflitto mondiale, invece, gli USA,
con il pretesto di "difendere gli alleati e la libertà", hanno piantato
la propria bandiera e le proprie truppe in tutta Europa. A che titolo? per
difendere quali interessi, e di chi? L'Europa non ha bisogno degli USA per
progredire e gestire la propria politica estera. Ha bisogno, piuttosto, di liberarsi dalla
arbitraria polarizzazione dei blocchi USA-URSS che la stritola, emanciparsi e stabilire una
terza via, la nostra.
Se anche
la NATO non c'entrasse nulla con l'invasione dei russi dell'Ucraina, ma questa
fosse solo il frutto dell'interventismo di un nevrotico assassino, sarebbe
comunque un'irripetibile occasione per cambiare la Storia ed immaginare un
futuro diverso per l'Europa e, dunque, per il mondo intero. Non sarebbe un
voltare le spalle al popolo ucraino, ma il modo per salvare tutte le ucraine di
oggi e di domani. Potremmo tornare ad essere il faro del mondo e non vivere di
riflesso, come facciamo oramai da troppo tempo.
Che
farebbero gli amici americani rispetto a ciò, ci bombarderebbero? ci
sanzionerebbero? Allora
tanto vale ammettere che la NATO è un ricatto, non una federazione paritetica
tra Stati. Gli americani non potrebbero che prendere atto di una svolta del
genere, allineandosi. Nello scacchiere internazionale hanno bisogno di noi
almeno quanto noi di loro. Cambiare il paradigma non solo è possibile, è
doveroso. Lo dobbiamo agli ucraini di oggi e a quei nostri patrioti che contribuirono
più di ogni altro a liberarci dal nazifascismo e che scrissero in Costituzione
"l'Italia ripudia la guerra".
Nel caso specifico, bisogna trattare direttamente con la Russia per il ritiro dall'Ucraina, intavolare accordi di pace lungimiranti che tengano conto dell'interesse comune ad avere proficue relazioni di vicinato, senza faziose ingerenze esterne. A causa della minaccia nucleare risulta comunque improbabile un coinvolgimento
diretto statunitense sul campo - gli apparati americani sono abituati a giocare col
fuoco, ma lontano dalle loro case.
Ciò che interessa unicamente agli americani è rinnovare il proprio status di guida all'interno della NATO e
a livello internazionale. In questo le tensioni che ciclicamente flagellano il
nostro tempo li aiutano. Tensioni, quindi, il più delle volte create ad arte,
come lo scientifico avanzamento ad est della NATO negli anni. Nel loro Risiko
ideale, il mondo è diviso costantemente in due: i cattivi, i rozzi russi, e i
buoni, loro, gli "illuminati", e noi a scodinzolare affinché il
padrone ci porti a pisciare. L'Europa ha l'obbligo morale di fronte alla Storia
di sabotare questo meccanismo perverso. Parafrasando una vecchia battuta sul
matrimonio, la NATO è la capacità di risolvere in due i problemi che da soli
non avremmo. L'Europa ha un solo grande futuro, dietro di sé. Si riappropri della sua Storia, del suo immenso patrimonio di civiltà sedimentato nei milleni, per guidare un nuovo umanesimo.
In coda, un
grazie al giornalista Marc Innaro, corrispondente da Mosca della RAI,
stranamente sparito dai palinsesti dopo aver semplicemente allargato
l'orizzonte d'analisi della guerra in corso oltre le conclamate nefandezze di
Putin, tirando in ballo anche le responsabilità della NATO. Altro
doveroso ricordo al compianto Giulietto Chiesa che, come Cassandra, andava
denunciando tutto questo in tempi non sospetti, quando Putin dormiva ancora nel
letto del nostro Presidente del Consiglio in Costa Smeralda e la nostra destra
ne tesseva le lodi di grande statista, ergendolo ad esempio per l'intera Europa.
La mossa di Renzi di ritirare le sue ministre dal governo è stata quasi obbligata, e pochi osservatori ne hanno colto le reali motivazioni. Alcuni ne hanno preconizzato la fine politica, supponendo che il leader di Italia Viva paghi alle prossime elezioni il fatto di aver aperto una inspiegabile crisi di governo in un momento drammatico per il paese. È il contrario. Renzi è leader di un partito agonizzante, che galleggia ormai costantemente sotto il 3%. Durante i mesi passati nel secondo governo Conte - governo che in modo determinante ha contribuito a far nascere - ha visto lentamente erodere il suo consenso elettorale e personale. Ciò che più è stato allarmante per lui, è constatare che tale erosione dei voti è stata indipendente dal successo o meno delle iniziative del governo. Restare oltre, fino alla naturale fine della legislatura, avrebbe significato consegnarsi ad estinzione certa. L'unica opzione possibile per lui era divincolarsi da questo abbraccio mortale ed uscire dal governo, dandosi così un'altra possibilità, ritornando in primo piano, smarcandosi soprattutto dalle gravose responsabilità che avrebbero colpito l'esecutivo nei prossimi mesi (ad esempio, rispetto alla cassa integrazione che sta per finire, ai ristori insufficienti, alla scuola che non riapre, alla terza ondata della pandemia in arrivo, etc.).
Notoriamente, nelle situazioni di crisi, si avvantaggia elettoralmente chi è all'opposizione, in quanto non ha l'obbligo di trovare soluzioni, ma si trova nella favorevole condizione di cavalcare strumentalmente il malcontento della popolazione. Renzi conosce benissimo tali dinamiche e le sue critiche al governo sono ovviamente pretestuose, servono solo per giustificare questa ennesima mossa del cavallo e lasciare. Come ha ricordato durante la conferenza stampa con le ministre dimissionarie, "la bici cade quando sta ferma, non quando è in movimento". Dunque Renzi si è mosso dall'immobilismo in cui era costretta la sua figura ed il suo partito per non cadere, per non morire. L'importante era agire, anche se in modo maldestro e impopolare. Solo le elezioni a breve segnerebbero definitivamente la fine della sua carriera politica, ma, il suo, è un rischio calcolato, sapendo bene che tale opzione è scongiurata, perché il Quirinale non vuole elezioni in piena crisi pandemica. Al massimo, se l'attuale maggioranza non dovesse trovare i numeri per proseguire, si prospetterà l'esigenza di un governo di transizione di unità nazionale. Ci aspettano, comunque, mesi di arringhe patriottiche dai banchi di Italia Viva, sul senso dello Stato e della democrazia, da parte di colui che disse che se avesse perso il referendum costituzionale del 2016 avrebbe abbandonato la politica, e che da segretario del Partito Democratico nel 2017 ebbe a dire "Non è accettabile che nel 2017 ci siano ancora i piccoli partiti che mettono i veti".
Il Movimento Cinque Stelle ha un merito innegabile: quello
di aver incanalato l'avversione legittima degli italiani verso la politica in una forma
democraticamente sostenibile in un periodo di forte crisi della rappresentanza da parte dei due storici schieramenti parlamentari. Quel Movimento
immaturo, nato da una protesta più che da una proposta, ha avuto vita facile
nel corpo vivo di un paese agonizzante. Oggi che tale soggetto politico è divenuto protagonista della vita pubblica del paese, il pressappochismo, le fastidiose note
di qualunquismo e le ingenuità, inevitabili in un Movimento sorto dal nulla
come quello, ne minacciano il futuro. I numeri impietosi delle elezioni
amministrative sono solo l'ultimo campanello d'allarme di un Movimento che non
è capace di sopravvivere a se stesso. Il nervosismo che traspare dalle
dichiarazioni post voto delle
"diverse anime" che lo compongono tradisce, ancora una volta, una
reazione epidermica e istintiva e una mancanza di quella re-visione profonda
che, potenzialmente, il Movimento incarnava al suo nascere. Tra le tante
incaute dichiarazioni, quelle che fanno più rumore sono sicuramente quelle del
fondatore del Movimento. Nel commentare la disfatta elettorale, Beppe Grillo ha
riesumato un vecchio mantra del Movimento, forse il più emblematico di tutti,
cioè di non credere nella democrazia rappresentativa, ma nella democrazia
diretta. La coerenza non c'entra in questo caso, c'entra più l'inettitudine
all'autocritica, come colui che perdendo al gioco rovescia il banco asserendo che questo fosse truccato. Un cambio di paradigma legislativo come quello auspicato dal garante Cinque Stelle non è deleterio
in sé, ma andrebbe fatto a valle di un trentennale processo di investimenti
nella scuola, nella cultura, e nella ricerca. Alla luce della situazione
dell'Italia di oggi, culturalmente devastata da decenni di governi di una destra populista e di una sinistra smemorata, "l'uno vale uno" su cui si
fonda l'idea di democrazia diretta sponsorizzata da Grillo è pura demagogia
autolesionista. Avrebbe senso in un paese serio, che investe regolarmente
percentuali consistenti del proprio PIL sulla crescita culturale dei propri cittadini.
Purtroppo i dati statistici europei al riguardo ci vedono ormai cronicamente in
fondo alla classifica, conseguenza per cui siamo di gran lunga il
paese con la popolazione più stupida d'Europa. Tutte le rilevazioni
sull'analfabetismo funzionale nei paesi occidentali degli ultimi anni vedono
l'Italia tristemente in cima alle classifiche. La riprova è il consenso
smisurato di cui gode la propaganda leghista, che si giova meschinamente
dell'ignoranza che ammorba l'italiano medio.
Le ideologie, spesso citate per
giustificare le azioni umane, non sono di per sé né buone né cattive. Sono solo
strumenti in mano agli uomini, che possono usarle per seminare pace o morte.
Per questa ragione è ignobile e desolante nel 2020 accanirsi su una ragazza
appena liberata da un sequestro, infamandola perché "ha la divisa di un
altro colore". Non era una cristiana quando è partita, né una musulmana
quando è tornata. Silvia è solo una ragazza che è tornata finalmente a casa.
In Italia tutti c'hanno "figli da mantenere”. E per questa ragione... i giornalisti fanno le mezze domande, i politici tirano a campare, gli insegnanti non bocciano, gli imprenditori si arrangiano...
Però, quando Salvini citofona, tutti si scandalizzano. La verità è che Salvini ci somiglia, come tutti i pupari che l'hanno preceduto al governo del paese. Forse mentono più di noi, rubano più di noi, si prostituiscono più di noi, ma non sono peggio di noi. I popoli non vanno in rovina per colpa di governi infami, ci sono governi infami perché ci sono popoli in rovina. Tutti c'hanno "figli da mantenere", e, così, il paese lentamente muore. Anche Falcone e Borsellino ce li avevano i figli. Anche Dalla Chiesa, Ambrosoli, Matteotti. Ce li avevano anche loro, ma hanno scelto diversamente, diventando i Padri della Patria e noi tutti i loro figli, ingrati.
Prendete il paese ideale: disoccupazione al minimo, servizi sociali eccellenti, pensioni alte, delinquenza inesistente. Poi prendete un politico, spregiudicato ed irresponsabile, che soffia sulle paure e le insicurezze della gente. Ebbene, in quel paese ideale, alle elezioni tale politico prenderebbe una cospicua ed immotivata percentuale di voti. Una prova? Il piccolo comune di Cavargna: 214 anime del comasco al confine con la Svizzera, che alle scorse europee si è guadagnato il titolo del "paese più leghista d'Italia", tributando al Capitano un plebiscito di preferenze, arrivando alla percentuale bulgara dell’86,79%. La motivazione addotta dagli elettori del piccolo comune alpino ai cronisti accorsi per spiegare il fenomeno è stata l'invasione di migranti. A Cavargna immigrati non ce ne sono, e, plausibilmente, i vetusti cittadini comaschi non ne hanno mai visti alcuno nella loro cittadina. Eppure, la percezione di quei cittadini è quella di una emergenza in atto. The Beast, lo staff della comunicazione di Salvini, conosce perfettamente queste dinamiche e le frutta in maniera sistematica e sovversiva. La propaganda fa apparire anche orde di neri islamici in cima alle alpi. Si riesce addirittura a far passare per paladini dell'integrità politica un partito che gridava "Roma ladrona" mentre distraeva 49 milioni di sovvenzioni pubbliche (Salvini ancora non ha risposto riguardo alle equivoche relazioni con alcuni faccendieri russi).
Cercare di interpretare la realtà per migliorarla è molto più difficile che servirsene per i propri interessi. Un politico cerca di fare la prima cosa, un professionista della poltrona la seconda. In questo il Capitano non è differente dal Presidente pregiudicato Berlusconi, è il suo epigono nell'era dei social: così come Berlusconi si è servito delle sue televisioni e dei suoi giornali come megafono per montare la sua figura di paladino della patria, così Salvini si serve di internet e dei social network. Oggi chiunque ne abbia il talento e la spregiudicatezza può usare i social per creare consenso intorno a sé, in qualsiasi campo. Un grande fratello sempiterno e globale in cui ogni cretino può aspirare a diventare protagonista ed opinionista - magari ministro -, nostro malgrado. Infatti, il vero nemico di Salvini non è né la sinistra né i cinque stelle, ma il black out dei server... come per la Ferragni.
Il populismo e i nazionalismi crescenti non si giustificano
con i depressi indici economici. Per capire la retorica e il linguaggio dei leader di oggi bisogna guardare il
popolo che li vota - i leader sono catalizzatori, prodotti della società che li
investe, e non viceversa. Allora guardiamolo questo popolo, guardiamolo il
paese che genera questi mostri. Si capisce allora che la crisi non è di natura economica
e finanziaria.
La crisi ha radici antropologiche. Il dibattito attorno
all'economia non è tra posizioni burocratiche alla Fornero o movimentiste alla
Di Maio – Salvini, ma culturale, così come esposto da Bob Kennedy - ormai cinquanta anni fa - nel suo
famoso discorso su cosa sia il PIL nei paesi occidentali contemporanei. La questione
reale - e urgente - è la visione di cosa sia la crescita e cosa sia
dunque auspicabile per il senso comune.
La profonda crisi economica e sociale in Europa è l'effetto di un arretramento culturale e, dunque, morale che attraversa i paesi che ne fanno parte, i quali
hanno smarrito le radici umaniste che li ha progrediti nei secoli. Il progresso
è inutile e deleterio se non è imbevuto di cultura. L’invenzione della stampa
non è stata rivoluzionaria in sé, ma per il sapere e i contenuti che ha consentito
democraticamente di diffondere: non ci sarebbe stata la Rivoluzione Francese
senza Gutenberg. Così è oggi, con le nuove tecnologie e i nuovi mezzi di comunicazione
di massa.
Il tema è come un Partito moderno “Democratico” affronta la
crisi attuale della politica rappresentativa. Il M5S si è defilato, rigettando
aprioristicamente la politica rappresentativa – affidandosi al movimentismo “dal
basso” -, la Lega di Salvini segue una linea (deriva) plebiscitaria – seguendo il berlusconismo.
Crisi della democrazia rappresentativa che nasce dall’abbattersi nel dibattito politico della comunicazione social; comunicazione che, naturalmente ed
inevitabilmente, favorisce il linguaggio ed i contenuti propri dei populismi
(nelle sue diverse accezioni, si vedano M5S e Lega).
Ahinoi la sinistra di Renzi ha seguito anch’essa la rotta (facile) berlusconiana.
Incapace di innovarsi e di contrastare la crisi sociale ed economica ormai in
atto da decenni, ha finto di combattere l’universo berlusconiano fin dalle sue
prime apparizioni, trovando in esso, invece, il più fidato alleato, unica
ragione condivisa di lotta. Questa incapacità di proposta e di autocritica ha
portato addirittura a scimmiottare il berlusconismo partorendo il renzismo, brutta
copia di un tema osceno e sgrammaticato di suo. Un nervo scoperto della
sinistra, arrogante e pretenzioso, vero argine al doloroso e serio dibattito
che andrebbe fatto da ciò che resta della classe dirigente di sinistra oggi sul
tema della democrazia rappresentativa nel tempo dei social media. Invece, la corrente maggioritaria della sinistra italiana "mangia pop-corn".
La pantomima di questi giorni dell’ultima assemblea del Pd è imbarazzante.
Accapigliarsi per e sul nulla. Si strilla, si fanno distinguo interminabili,
senza rendersi conto che non ci sono più elettori (e poltrone) da spartirsi. Matteo
Renzi cammina - da sempre - con il mento alto e l’andatura arrogante, ed ai congressi PD è il più acclamato. Alla fine
del suo intervento, la maggior parte della sala l’ha applaudito alzandosi in
piedi. Forse la questione a sinistra non è più politica - da un bel po’ -, è
psichiatrica.
L'intervento militare in Siria della scorsa notte degli Stati Uniti, della Gran Bretagna e della Francia è stato giustificato dalla "necessità di fermare la barbarie" di Assad.
Dalla prima Guerra del Golfo ad oggi, si potrebbero citare innumerevoli barbarie perpetrate ai danni di civili inermi da parte della "righteous power" statunitense e dei suoi alleati. Anzi, le supposte armi chimiche di Saddam - che giustificarono l'intervento la seconda volta nel 2003 - non sono mai state trovate, mentre sicuri furono i bombardamenti americani al fosforo bianco a Fallujah. Ugualmente oggi: si giustifica l'intervento armato perché Assad avrebbe usato armi chimiche, mentre Amnesty International ha accusato l'esercito americano di aver usato ancora una volta armi al fosforo bianco in Siria.
Si obietterà che quegli attacchi sono necessari. Dunque, la discriminante non è nella barbarie, perché i civili trucidati sotto le bombe alleate non muoiono di meno. La discriminante è la "necessità". Ma anche Assad ha le sue necessità, così Putin, e tutti gli attori in commedia. Cosa discrimina, allora, una necessità giusta da una sbagliata? In questo caso la presunta libertà e felicità dell'afflitto popolo siriano - fu così anche per Saddam e per Gheddafi. Una libertà ed una felicità contese a suon di bombe e crimini contro l'umanità, da tutte le parti in causa. In verità la libertà e la felicità altrui non hanno mai armato alcun esercito, ma ben altri interessi. Inoltre, gli interventi in Iraq ed in Libia non hanno pacificato affatto quei paesi. Un bambino sotto i cieli della Siria non si chiede che nazionalità abbiano quelle bombe, ma se qualcuno risparmi lui e la sua famiglia.
I morti non sono tutti uguali. Lo possono essere umanamente, ma per la Storia no. La Storia è un po' più seria degli uomini. I partigiani e i morti di Salò erano,entrambi a loro modo, in buona fede, ma su fronti opposti: gli uni nel giusto, gli altri in errore, un tragico errore. E la Storia non può fare sconti. Il 25 aprile è giusto omaggiare i primi e ricordare i secondi, ma non confonderli. Il ricordo e la memoria con il tempo affievoliscono e i contorni dei fatti possono, pericolosamente, smussarsi; ma questo è un pericolo che bisogna assolutamente scongiurare, perché, quanto accaduto circa settanta anni fa, è ancora attuale, e quella tragica lezione non è servita. Basta guardare ciò che accade nel mondo. Ci sono ancora tiranni votati "plebiscitariamente", c'è ancora chi soffia sulle paure e costruisce ghetti. C'è ancora bisogno di battersi e di difendersi. Anche da quelli che, meno di un secolo fa, sono stati vittima della Storia, gli ebrei. Oggi tra gli aguzzini ci sono anche loro. Oppressori dei palestinesi, e anch'essi per nome di una ideologia di morte, la religione. Quindi il 25 aprile non è "la festa della liberazione", ma il rinnovamento di una professione di lotta contro tutte le ingiustizie sociali.
Sarà una festa quando ci libereremo per sempre dei tiranni e delle discriminazioni, delle sopraffazioni e dei mostri che ci portiamo dentro.
L'equivoco nel Movimento Cinque Stelle si ripete, pericolosamente. Alla lunga, potrebbe diventare letale per l'esistenza del Movimento stesso. L'equivoco consiste nell'avere risposto al malcontento dei cittadini verso la classe politica della prima e della seconda repubblica con l'utopia dell'orizzontalità della rappresentanza. Una risposta del tutto ideologica ai problemi del paese, e, per questo, inconsistente. Da un eccesso all'altro, quindi: da una verticalità autoreferenziale e corrotta, ad una orizzontalità inadeguata e indisciplinata.
Lo psicodramma tutto interno al Movimento che si sta consumando al comune di Roma era facilmente prevedibile. Il fatto che la vittoria nella capitale fosse ampiamente annunciata e, nonostante questo, la Raggi, e con lei il Movimento Cinque Stelle, si siano fatti trovare completamente impreparati nella composizione della giunta è una prova di questa approssimazione e impreparazione. Quanto accaduto precedentemente in altre città da loro amministrate avrebbe dovuto allertarli, ma il Movimento, per essere fedele a se stesso, sembra non imparare dai propri errori. Quando ci fu la crisi al comune di Quarto ebbi a dire: "La cosa più triste che possa capitare ad un paese è scoprire che i suoi cittadini non sono meglio della classe politica che l'ha portato alla rovina. [...] Una democrazia matura non è quella governata dai cittadini, ma quella guidata da una classe politica degna e capace". Non basta essere incensurati per essere buoni amministratori. I rappresentanti politici sono, e devono essere, l'elité dello stato, la sua più qualificata espressione nei diversi campi. La retorica dell'"uno vale uno" e del "governo dei cittadini" nella teoria va anche bene, ma, nella pratica, è un azzardo che rischia di travolgere il Movimento e le sue pur nobili intenzioni. La sfida del Movimento Cinque Stelle avrebbe dovuto essere, piuttosto, quella di infondere finalmente qualità a quella verticalità, promuovendo una politica coerente e credibile che armonizzasse personalità e professionalità di eccellenza e di fidata esperienza. Come sta accadendo in Canada. Il giovane primo ministro Justin Trudeau sta rivoluzionando nella forma e nella sostanza il proprio paese, scegliendo, tra l'altro, i propri ministri tra le figure più rappresentative del paese. Il futuro passa dall'eccellenza, quindi, non dalle auto candidature su un blog e il voto online. Anni fa Grillo sbagliava a spaccare i personal computer durante i suoi spettacoli; adesso sbaglia a credere ciecamente in essi. La "rete" solitamente non è piena di storioni, ma di merluzzi.
Il sistema è lo stesso, da sempre: esasperare il problema e mostrarsi come rimedio ad esso #Erdogan #Merkel #Trump #Renzi #Putin #Jong-un #Hitler #Bush... etc etc
Hai perso, e ti brucia, molto. Tutti i fantasmi della tua adolescenza si sono ripresentati. Io non ho bisogno di sentirti parlare per capire che sei un bluff, che fallirai. Cammini sempre impettito, con passo marziale. Basta guardarti. Sei troppo pieno di te per rendertene conto. E, inoltre, sei consigliato malissimo da chi gestisce la tua comunicazione. Puoi parlare di "democrazia" quanto ti pare, ma il corpo, il tono, l'atteggiamento, ti tradiscono. Sei brutto, fattene una ragione. Capisco che le donne da ragazzo non ti filavano per niente (quelle strafighe intendo...): così nasce il culto della personalità, dalla frustrazione. Non a caso, una volta al governo, fai sedere al tuo fianco la Boschi e la Madia; il messaggio è: "Io sono figo, come Fonzie, e queste due me la danno se voglio". Ma non te la danno... Incanterai i tuoi amichetti del liceo adesso, ma a me no. Non hai nulla da dimostrare, fidati. Se vuoi davvero capire la sconfitta alle comunali cercati un buon analista, non dei politologi. Hai avuto in eredità un patrimonio enorme diventando segretario del Partito Democratico, e lo stai mortificando e sperperando accecato da te stesso. Personalizzi tutto, perfino una cosa sacra come un referendum per cambiare la Costituzione. Bisogna essere proprio drogati di sé per accomunare il proprio nome, e il proprio destino, ad una riforma del genere. Non vali la Costituzione italiana, stammi a sentire. In fede Uno che non ti voterà mai
ps fai la Leopolda allestendo la scenografia come il garage di Steve Jobs. Ma tu pensi davvero che la politica si venda come i telefonini? Questa è la considerazione che hai della cosa pubblica e, soprattutto, del tuo elettorato.
Premesso che una cosa è cercare di capire e un'altra è giustificare, e che nulla giustifica degli assassini, il terrorismo e i rifugiati in casa nostra sono il risultato di una politica occidentale, interna ed estera, scellerata e criminosa che va avanti da un trentennio. Dai tempi di Bush senior "esportiamo la democrazia" con le bombe e violentiamo e saccheggiamo il medio oriente e interi paesi africani per i nostri interessi economici (in realtà lo facciamo da sempre). Se avessimo veramente voluto aiutare quei popoli a progredire oggi non avremmo milioni di profughi in fuga e l'Isis non avrebbe avuto ragione di esistere: non s'è mai visto un terrorista che attacca l'Europa perché fuori casa sua gli "infedeli" hanno costruito scuole e ospedali per i suoi figli. Prima che l'interventismo occidentale diventasse prassi consolidata (ed accettata dai cittadini) il terrorismo jihadista non esisteva, e questo è un dato di fatto: Bush junior ha superato il padre invadendo l'Iraq con il pretesto di prove false (e noi dietro a lui), in Afghanistan ormai siamo di casa, Sarkozy ha bombardato la Libia per per un bieco calcolo elettorale destabilizzando un'itera area, etc. L'Isis non ci ha dichiarato guerra, siamo noi che abbiamo dichiarato guerra all'onestà intellettuale da tanto tempo. Detto questo, questi criminali non ce l'hanno prettamente con l'Europa. Il loro delirante fanatismo travalica i nostri confini, configurandosi anche come una guerra tutta interna al complesso mondo islamico, colpendo paesi come India, Pakistan e Nigeria (è un fatto che la maggior parte delle vittime del terrorismo islamico sono mussulmani). È una battaglia ideologica totale, un virus che ha avuto vita facile a proliferare in organismi debilitati come le nostre democrazie. Questi cani rognosi, infatti, sono cresciuti nelle nostre periferie umane, non vengono da lontano. Questo bisogna averlo bene in mente quando si avanzano analisi e soluzioni: non è una minaccia che viene da fuori, da altrove, ma da dentro di noi, è il frutto di un fallimento nostro. Tali deliri ideologici hanno attecchito e fatto proseliti nelle nostre capitali perché il nostro modello socio-economico è fallito ed è al collasso, il cancro si manifesta in un corpo corrotto: la nostra civiltà non sta degenerando perché c'è il terrorismo, c'è il terrorismo perché la nostra civiltà è degenerata. Dunque, per debellare un cancro bisogna cambiare stile di vita, ripensando l'intera struttura della nostra società, con le sue insopportabili disuguaglianze e ingiustizie; approcciare vere politiche di integrazione e, soprattutto, di sviluppo culturale della masse. Non è un esercito di sociologi che ci libererà dal terrorismo, ma prima si inizierà a investire in questo senso prima ci libereremo da questo incubo. Purtroppo, in Italia, conosciamo bene questi fenomeni degenerativi: le mafie pescano manovalanza nelle voragini esistenziali lasciate dallo Stato assente, dove la prepotenza e la corruzione morale non trovano anticorpi all'altezza. La nostra democrazia è inerme difronte a questi fatti perché immatura, è ferita perché è debole. Stiamo ancora piangendo i morti del terrorismo nostrano degli anni settanta e delle stragi degli anni novanta senza aver assicurato alla giustizia i mandanti e pensiamo di avere l'integrità e la capacità di affrontare seriamente una prova del genere? Se si tratta di terrorismo ideologico è sul piano culturale che si combatte questa guerra del nuovo millennio, e si combatte in casa nostra, non su qualche altura o deserto mediorientale. E la cultura insegna che la paura fomenta l'ignoranza che a sua volta genera l'odio, e tutto questo crea gli schiavi moderni. Se l'Isis è arrivato ad avere una forza e una diffusione tale è anche perché serve al potere costituito a legittimarsi per l'ennesima volta e a rifarsi una credibilità ormai logora; questi cani imbottiti di odio sarebbero spazzati via in un attimo se non fosse così. Crediamo davvero che sia plausibile che un'ora dopo gli attacchi all'aeroporto di Bruxelles la metropolitana fosse ancora aperta e la gente non fosse stata messa al sicuro? La paura è il vero detonatore in mano agli attentatori, chiediamoci, piuttosto, chi sono davvero i mandanti e i complici. Dobbiamo pretendere dai nostri governanti una politica diversa, sia interna che estera; diffidate da chi predica la paura e costruisce muri. Bisogna investire in un nuovo umanesimo, laico, progressista; dobbiamo liberarci della nostra cattiva coscienza, solo così ci libereremo dei nostri fantasmi. Give peace a chance.
L'Italia repubblicana è stata spolpata e minata dal più bieco partitismo, da una plutocrazia che, anche dopo la fine della prima Repubblica, ha perseverato, in peggio, smarrendo qualsiasi pudore, sdoganando il peggio di se stessa e del paese. Il sano e vitale rigurgito a tutto questo è stato raccolto dal Movimento Cinque Stelle, al quale, anche dai suoi più acerrimi detrattori, va dato il merito di aver canalizzato democraticamente il malessere sacrosanto di parte della società "civile". Ma non solo di partitismo si può morire, anche di attivismo. Si prendano ad esempio le primarie Cinque Stelle al comune di Milano: la vincitrice Patrizia Bedori è sicuramente una bravissima persona a cui non si può dir nulla di male, ma nemmeno nulla di buono, ed è questo il punto. L'onestà è una condizione necessaria, ma non sufficiente per amministrare la cosa pubblica; il rischio è di scoprirsi inadeguati al ruolo appena le cose si complicano, e di sfaldarsi come Movimento alla prova dei fatti, con buona pace dei buoni propositi che diventano stracci in faccia. Le vicende dei sindaci di Parma, Livorno e Quarto ne sono la prova. I sindaci espressione degli altri partiti in Parlamento non sono meglio di quelli Cinque Stelle, anzi, ma è mai possibile che l'Italia abbia rinunciato ad avere una classe politica di professione onesta e preparata insieme? De Gasperi non è stato raccattato da una riunione di condominio e portato allo scranno di Presidente del Consiglio; non è che il mercato rionale è pieno di statisti che fanno la spesa. La politica è una cosa molto complessa, e non c'è nulla di male a definirla una professione: se uno non può dirsi architetto o insegnante senza un curriculum accademico ad hoc ed una comprovata esperienza sul campo, non vedo perché, in questo paese, chiunque possa invece avere la pretesa di improvvisarsi politico (tanto più che i danni procurati da un architetto incapace sono decisamente inferiori rispetto a quelli causati da un politico maldestro). Casomai la questione è sempre più quella di vigilare la classe dirigente affinché operi effettivamente nell'interesse comune. Non a caso al M5S riesce meglio - e più "naturale" - fare l'opposizione invece che governare, proprio perché in una democrazia i cittadini comuni sono chiamati a vigilare, nient'altro.
La crisi migratoria in atto, che condizionerà pesantemente il prossimo futuro, era solo questione di tempo. Milioni di persone in procinto di fuggire dal nord Africa e dal martoriato Medio Oriente non sono invisibili: quindi, o l'Europa ha colpevolmente sottovalutato il problema per decenni, o, molto più probabilmente, questo era l'inevitabile costo da pagare per ben più importanti interessi. È fuori di discussione che dietro la destabilizzazione recente dei paesi della fascia del Mediterraneo ci sono interessi europei e statunitensi. Con il pretesto di sovvertire dei feroci tiranni e terroristi - con cui si fanno affari fino al giorno prima - si è operato nel tempo in Iraq, Kuwait, Afghanistan, poi in Libia, Egitto, Tunisia, Siria, e Ucraina (quest'ultima meriterebbe un discorso a parte). Anche Kim Jong-un è un feroce dittatore, ma nella sperduta Corea del Nord nessun paladino della libertà è andato mai a sparare un mortaretto... strano. Se nel Medio Oriente l'Europa ha più subito "l'interventismo" della politica estera dell'alleato USA piuttosto che esserne davvero protagonista, in Africa ha invece delle responsabilità dirette: l'attacco scriteriato nel 2011 dei francesi alla Libia è solo l'ultimo esempio. Sono tutte crisi indotte, e mai realmente subite. Queste folle di disperati che fuggono dai paesi d'origine sono il prodotto di decenni di sfruttamento e di crimini perpetrati in Africa e in Asia da noi; l'Occidente non è vittima, ma carnefice di tutto quanto accade. Ad esempio, come ha ricordato anche il «Wall Street Journal», i terribili ed esecrabili miliziani dell'Isis, che stanno spargendo il terrore ovunque, in origine sono stati occultamente finanziati e armati dagli USA per combattere in Siria contro Assad. Il piano sovversivo è ovviamente miseramente fallito, e ha fomentato un gruppo estremista ormai fuori controllo. Lo stesso accadde negli anni '80 in Afganistan, quando, per contrastare l'invasione russa nel paese, furono addestrati e finanziati i mujahidin che poi andarono a formare Al Qaeda.