lunedì 26 febbraio 2024

La Meloni e il coniglio

 

In merito al disegno di legge sull'autonomia differenziata c'è una legittima preoccupazione da parte dei cittadini del Sud Italia. Il dibattito pubblico al riguardo, con lo scontro tra il Presidente del Consiglio Meloni e il Presidente della Regione Campania De Luca, ha invece assunto toni grotteschi che umiliano, innanzitutto le istituzioni, ma soprattutto la sacrosanta pretesa di assistere ad un serio confronto tra le opposte ragioni. 

La manifestazione a Roma, promossa da De Luca con un manipolo di sindaci, non ha ricevuto udienza dal Governo, servendo fatalmente solo al teatrino delle parti. Ma chi governa ha il dovere di non sottrarsi allo scontro d'idee, pur se mosso strumentalmente. Alla Meloni si chiede: è la riforma dell'autonomia differenziata rilevante per il futuro dello Stato? è, inoltre, la Campania una Regione cardine per il traino del Mezzogiorno, e, dunque, del paese? Se la risposta è si, ebbene, non scappi dal confronto pubblico richiesto da De Luca a proposito. Il dibattito in Parlamento si è dimostrato quantomai inadeguato, in quanto i diversi partiti, al loro interno, hanno mostrato diverse posizioni in merito, trattandosi di questione non di appartenenza politica, ma territoriale. Dunque, per rivendicare le ragioni del Governo sul disegno di legge, è auspicabile un suo confronto diretto con i rappresentanti politici promotori del dissenso, De Luca in primis. 

I cittadini hanno il diritto di assistere ad un dibattito serio su questo tema così determinante per il futuro del paese. Se si sottrae, vuol dire che la Meloni, di fronte al destino dell'unità d'Italia, che tanto dice di amare, scappa. Scappa di fronte alle proprie responsabilità esattamente come il suo Duce, travestito da coniglio per raggiungere la frontiera.

martedì 2 gennaio 2024

Fermatevi

Fermatevi. L’abbagliante euforia, per l’incedere della neonata intelligenza artificiale nelle nostre vite, impone una riflessione sulla deriva di tale frontiera se non è governata. Ciò che potrebbe profilarsi all’orizzonte è terribile e, tuttavia, non sembra adeguatamente allarmare.

Ad emblema di tale sottovalutazione del problema, se non addirittura omissione di esso, si cita un articolo sintomatico del «Corriere della sera» del dicembre 2023 dal titolo Microsoft Copilot ora può creare canzoni (con testo e musica): un’agiografia del fenomeno di proliferazione di applicazioni e piattaforme fondate sull’intelligenza artificiale generativa che suppliscono completamente il processo creativo dell’artista. Ciò che maggiormente atterrisce e indigna è il tono di tale articolo - uno fra i tanti sul tema -, il quale le promuove acriticamente, senza alcun accenno agli stravolgimenti ed alle enormi questioni che esse sollevano. Chi si illude che l’intelligenza artificiale sia solo un supporto alle attività umane senza rimpiazzarle del tutto, si sbaglia. Nell’era della tecnica, nella quale siamo avviluppati, il primato dell’uomo era già compromesso ancor prima dell’avvento di tali tecnologie, le quali accelereranno un processo già in atto, anzi, ne sono l’estrema conseguenza. Non sfuggono l’utilità e le potenzialità di esse per alleviare o evolvere diverse attività umane, ma, accecati dai loro prodigi, si ignora la rotta intrapresa. La storia ci insegna che innovazione e progresso viaggiano su due binari separati, non sempre coincidenti: anche gli ordigni nucleari furono il prodotto di un’entusiasmante innovazione tecnologica. Dunque, non si obietta l’intelligenza artificiale in sé, ma la sua deflagrante applicazione, fideistica e indiscriminata, anche in ambiti delicati ed edificanti (edificanti in senso letterale) come l’arte.

mercoledì 1 novembre 2023

Una spremuta d'arancia

La guerra non è la conseguenza di un dialogo non terminato o non compreso, la guerra si sceglie di farla.

Eppure, puntualmente, a commento di essa, alcuni intellettuali o esperti si affannano, come Cassandre stonate, a spiegare le ragioni dei conflitti, a raccontare lo strazio per i civili, a proporre faticosissime soluzioni.      

Cadono nell'equivoco di una presunzione moralista secondo cui il bene guiderebbe le nostre vite, come se la ragione di pochi potesse fermare la barbarie di molti. In realtà, a tanti sono ben chiare le ragioni dei conflitti, le inenarrabili tragedie che comportano, ma, nonostante questo, essi anelano la guerra e le sue conseguenze. La guerra, difatti, prima ancora che come scontro culturale e sociale, si configura come fenomeno antropologico; attiene alla costituzione primordiale del genere umano, alla violenza prevaricatrice che precede la pietà, la quale non è patrimonio genetico di tutti, ovvero al sadismo che pervade alcuni, retaggio del nostro essere animale: esseri primitivi, incivili insomma.

Alle colpe di governi sanguinari capeggiati da siffatti uomini, si somma l'ipocrisia della massa inerte a cui vengono preventivamente celati i volti e le urla strazianti delle vittime durante i reportage dai teatri di guerra. E di uno show si tratta, in effetti, edulcorato a vantaggio della cattiva coscienza collettiva, un veleno propagandisticamente somministrato a piccole dosi per renderci immuni da qualsiasi nefandezza.        

La cultura alla pace e al dialogo tra i popoli, la conoscenza possono aiutare. Ma il sentire comune è talmente anestetizzato al dolore altrui che non bastano. Bisognerebbe strappare via il sipario della messa in scena e fare pratica viva, dare letteralmente corpo alle sofferenze degli altri. Pubblicità "progresso", campagne di sensibilizzazione di massa atte a disturbare il sonno della ragione in cui siamo avviluppati, che insinuino nella cinica quotidianità i nostri simili martoriati dalla nostra indifferenza. Per i più recidivi immagino centri di educazione all'umanità, magari vecchie caserme militari in disuso. Una detenzione forzata alle pene del prossimo, con forme di coercizione alla compassione: come il "trattamento Ludovico" in Arancia Meccanica, ore ed ore di filmati senza censura dello strazio dei civili vittime di guerra, con meccanismi di costrizione oculare che non consentano di chiudere gli occhi o distogliere lo sguardo: uomini, donne e bambini in disperazione, tra cumuli di macerie, mutilazioni e morte ovunque. Cacciargli negli occhi le aberrazioni del presente, cavargli una lacrima con la forza.

Agli irrecuperabili andrebbe tolto il diritto di voto e la patria potestà, affinché non allevino altre bestie, come loro.