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martedì 2 gennaio 2024

Fermatevi

Fermatevi. L’abbagliante euforia, per l’incedere della neonata intelligenza artificiale nelle nostre vite, impone una riflessione sulla deriva di tale frontiera se non è governata. Ciò che potrebbe profilarsi all’orizzonte è terribile e, tuttavia, non sembra adeguatamente allarmare.

Ad emblema di tale sottovalutazione del problema, se non addirittura omissione di esso, si cita un articolo sintomatico del «Corriere della sera» del dicembre 2023 dal titolo Microsoft Copilot ora può creare canzoni (con testo e musica): un’agiografia del fenomeno di proliferazione di applicazioni e piattaforme fondate sull’intelligenza artificiale generativa che suppliscono completamente il processo creativo dell’artista. Ciò che maggiormente atterrisce e indigna è il tono di tale articolo - uno fra i tanti sul tema -, il quale le promuove acriticamente, senza alcun accenno agli stravolgimenti ed alle enormi questioni che esse sollevano. Chi si illude che l’intelligenza artificiale sia solo un supporto alle attività umane senza rimpiazzarle del tutto, si sbaglia. Nell’era della tecnica, nella quale siamo avviluppati, il primato dell’uomo era già compromesso ancor prima dell’avvento di tali tecnologie, le quali accelereranno un processo già in atto, anzi, ne sono l’estrema conseguenza. Non sfuggono l’utilità e le potenzialità di esse per alleviare o evolvere diverse attività umane, ma, accecati dai loro prodigi, si ignora la rotta intrapresa. La storia ci insegna che innovazione e progresso viaggiano su due binari separati, non sempre coincidenti: anche gli ordigni nucleari furono il prodotto di un’entusiasmante innovazione tecnologica. Dunque, non si obietta l’intelligenza artificiale in sé, ma la sua deflagrante applicazione, fideistica e indiscriminata, anche in ambiti delicati ed edificanti (edificanti in senso letterale) come l’arte.

mercoledì 1 novembre 2023

Una spremuta d'arancia

La guerra non è la conseguenza di un dialogo non terminato o non compreso, la guerra si sceglie di farla.

Eppure, puntualmente, a commento di essa, alcuni intellettuali o esperti si affannano, come Cassandre stonate, a spiegare le ragioni dei conflitti, a raccontare lo strazio per i civili, a proporre faticosissime soluzioni.      

Cadono nell'equivoco di una presunzione moralista secondo cui il bene guiderebbe le nostre vite, come se la ragione di pochi potesse fermare la barbarie di molti. In realtà, a tanti sono ben chiare le ragioni dei conflitti, le inenarrabili tragedie che comportano, ma, nonostante questo, essi anelano la guerra e le sue conseguenze. La guerra, difatti, prima ancora che come scontro culturale e sociale, si configura come fenomeno antropologico; attiene alla costituzione primordiale del genere umano, alla violenza prevaricatrice che precede la pietà, la quale non è patrimonio genetico di tutti, ovvero al sadismo che pervade alcuni, retaggio del nostro essere animale: esseri primitivi, incivili insomma.

Alle colpe di governi sanguinari capeggiati da siffatti uomini, si somma l'ipocrisia della massa inerte a cui vengono preventivamente celati i volti e le urla strazianti delle vittime durante i reportage dai teatri di guerra. E di uno show si tratta, in effetti, edulcorato a vantaggio della cattiva coscienza collettiva, un veleno propagandisticamente somministrato a piccole dosi per renderci immuni da qualsiasi nefandezza.        

La cultura alla pace e al dialogo tra i popoli, la conoscenza possono aiutare. Ma il sentire comune è talmente anestetizzato al dolore altrui che non bastano. Bisognerebbe strappare via il sipario della messa in scena e fare pratica viva, dare letteralmente corpo alle sofferenze degli altri. Pubblicità "progresso", campagne di sensibilizzazione di massa atte a disturbare il sonno della ragione in cui siamo avviluppati, che insinuino nella cinica quotidianità i nostri simili martoriati dalla nostra indifferenza. Per i più recidivi immagino centri di educazione all'umanità, magari vecchie caserme militari in disuso. Una detenzione forzata alle pene del prossimo, con forme di coercizione alla compassione: come il "trattamento Ludovico" in Arancia Meccanica, ore ed ore di filmati senza censura dello strazio dei civili vittime di guerra, con meccanismi di costrizione oculare che non consentano di chiudere gli occhi o distogliere lo sguardo: uomini, donne e bambini in disperazione, tra cumuli di macerie, mutilazioni e morte ovunque. Cacciargli negli occhi le aberrazioni del presente, cavargli una lacrima con la forza.

Agli irrecuperabili andrebbe tolto il diritto di voto e la patria potestà, affinché non allevino altre bestie, come loro.

lunedì 10 luglio 2023

Addio Colin


Capita, in un'afosa mattina di luglio, di ingarellarsi con un giornalista di un noto network automobilistico nei commenti a margine di un video di YouTube. Motivo del contendere la pubblicazione da parte della testata giornalistica del "primo contatto" della Lotus Eletre, "hyper SUV di oltre 5 metri, con un peso sulla tara di oltre 2 tonnellate, ma, soprattutto, a trazione elettrica", appena presentato. Ad indurmi a contestare il tono encomiastico del video - più correttamente, sarebbe giusto dire a costringermi - è stata la chiosa al pezzo del giornalista: "Alcuni ingegneri Lotus, mi hanno raccontato durante questo evento di Oslo, come il figlio di Colin, Clive, avesse scoperto negli anni passati bozzetti e tracce di una Lotus familiare esclusiva, insomma una progenitrice della Eletre".

Non ho saputo esimermi dal commentare quanto non sia degno di una testata giornalistica seria citare fantomatici bozzetti di Colin Chapman, riguardo una "familiare esclusiva", per giustificare l'oltraggio che la holding cinese Geely Holding Group (che ha acquistato il marchio nel 2017) sta facendo alla memoria di ciò che ha rappresentato il marchio Lotus nella storia dell'automobilismo. Si cerca forzatamente di tessere un filo con il passato Lotus, ma, in realtà, quel filo è stato maldestramente spezzato. Come me presuntuosamente credo la pensano in tanti, di certo i fortunati possessori di una Elise oppure di una Exige (per un brand ha ancora un valore il parere dei suoi storici clienti?). 

Casomai - ho suggerito -, nell'era dei SUV, un servizio automobilistico interessante sarebbe andare alla ricerca di quei bozzetti, per vedere come Chapman avesse declinato il suo emblematico "less is more" anche in quel caso. Ma, forse, questo è chiedere troppo, nell'era in cui anche il giornalismo è in "evoluzione". La coda velenosa al mio commento è stata che una cosa è raccontare il cambiamento in atto, un'altra è condividerlo; ammenoché, da parte delle testate giornalistiche del settore, non vi sia un tornaconto. 

venerdì 23 dicembre 2022

Matrimonio all'italiana

Il problema dell'Italia non è la destra, che ha divorato le menti e il cuore della maggioranza inerte del paese. La destra fa "la destra", attua meccanicamente ciò che ha in programma di fare (in modo militaresco), e ci riesce benissimo. Anche perché propagandare e mettere in pratica i disvalori di destra è molto più facile che seminare e fare fruttare i valori di sinistra: fare appello all'individualismo e alle insicurezze di una massa di individui è molto più semplice che far germogliare in essi il senso di comunità e la comprensione reciproci.

Il problema del nostro sventurato paese è, piuttosto, la sinistra, la sua colpevole sufficienza. Dalla morte di Berlinguer è iniziato il suo storico declino, come lo spegnersi di un faro della coscienza civile. Ma è dalla discesa in campo di Berlusconi del 1994 che la sinistra, invece di avere un sussulto, ha sventuratamente smarrito, e poi tradito, il senso della sua ragione d'essere: si è registrato un indietreggiamento graduale su tutti i fronti, una compromissione al ribasso che oggi è diventata corresponsabilità, complicità.

Un meccanismo perverso che Giorgio Gaber, nei suoi profetici monologhi, aveva ampiamente previsto: la dissoluzione in atto dell'individuo, dunque del popolo, quale pilastro della democrazia. Ciò che è più grottesco è che anche lui, scegliendo per moglie una donna forzista, avrà ceduto al compromesso, contrabbandando la parte più ideale di sé al demone affascinante della destra, sentenziando l'ineluttabilità e l'irreversibilità della degenerazione in corso.




venerdì 21 dicembre 2018

Via Orazio e il mito della caverna

Via Orazio è una strada panoramica di Napoli che, partendo da Mergellina, risale la collina di Posillipo svelando alla vista tutta la bellezza del golfo. Ma ci saranno abitanti di via Orazio che non possono godere di quel meraviglioso spettacolo, perché le loro finestre e balconi sono ostacolati da alti muri o si aprono su cortili interni. Eppure abitano in via Orazio! L'umanità tutta è come questi abitanti: non potendosi permettere un attico con vista sull'infinito, decora muri e addobba cortili adombrati, da sempre. Sorgono così dissidi e liti tra condomini, su come imbrattare i muri o conciare il cortile... dimentichi di abitare in via Orazio.


domenica 7 ottobre 2018

Le dune di Sabaudia e Salvini


I fascismi non nascono dal nulla, ma dalla degenerazione e dal fallimento del socialismo democratico. Sono sempre stati il rigurgito reazionario, scomposto e plebiscitario a profonde crisi economico-sociali. Una dinamica storica che si ripete ciclicamente: lotte sociali, benessere, lassismo, corruzione, crisi, fascismo, resistenza, lotte sociali… e così via.
Governare questa dinamica è la sfida - e il dovere - delle istituzioni democratiche da sempre. L’antidoto è scardinare la relazione perversa tra benessere e lassismo attraverso il filtro della cultura e l’istruzione di massa, promuovendo così un progressismo umanista che non demonizzi il profitto e, al contempo, non disumanizzi il lavoro (un benessere a misura d’uomo scevro da conflitti). La crisi identitaria delle sinistre moderne – storicamente impreparate a governare il benessere – nasce invece dall’essere rappresentate da una cultura e una istruzione elitarie e dirigiste, basate su una omologazione de facto e l’ipocrisia di avere il portafoglio gonfio e la coscienza comunque apposto.
L’unico deficit assorbibile e sostenibile potenzialmente all’infinito da una paese è quello a favore della cultura e l’istruzione pubblica. Il peccato originale dei governi progressisti passati è stato di non aver fatto profonde riforme al riguardo quando sono state al governo. La finanza si governa dalle scuole, non dalle borse. Tale equivoco genera il sospetto e rompe il legame con le masse, favorendo la corruzione nel corpo morto dello stato.
Pasolini, Cassandra dei nostri tempi, profetizzò in pieno boom economico quanto sta accadendo ai giorni nostri. Oggi ci tocca la resistenza civile, tra il nuovo che avanza e la deriva fascista che ritorna. Eppure basterebbe il partito del buon senso per governare il futuro.



venerdì 23 marzo 2018

Siamo patetici con i nostri piccoli mondi, mentre l'Universo ci gira sopra le teste




"Il film-maker americano Alex Gorosh ha portato in strada il suo telescopio, mostrando la Luna ai passanti..."

venerdì 23 febbraio 2018

La falsa coscienza contemporanea

Lo strumento televisivo è stato il catalizzatore della falsa coscienza contemporanea. Dove c'è zapping nevrotico e compulsivo non ci può essere reale approfondimento. Un libro ti parla anche da chiuso; la televisione, invece, non ti parla, trasmette. Da spenta è un complemento d'arredo, o meglio, un oggetto senza il complemento.
È possibile fare televisione di qualità, ma, in un dibattito, chi conosce lo strumento, può avere la meglio dialetticamente su chi ha argomenti più qualificati. Quindi, è in sé uno strumento improprio per certe tematiche, in quanto rende tutto opinabile (non a caso è perfetto per raccontare il futile, che gli somiglia). Falso ontologicamente, quindi da non prendere troppo sul serio comunque, anche quando professa il giusto. I social network hanno moltiplicato all'infinito tale universo di falsa coscienza -  teoricamente comprendendone uno per ogni individuo - e, possibilmente, sono ancor più subdoli, perché hanno sostituito all'eterodirezionalità (a suo modo governabile) ed all'impersonalità del mezzo televisivo una parvenza di protagonismo dell'Essere, che è oltremodo nocivo. Contraddicono, anch'essi, l'ispirazione ad essere strumento di comunicazione e relazione, limitandosi a trasmettere una massa parcellizzata ed autoreferenziale, e, dunque, ancor più amorfa, asociale.



mercoledì 5 aprile 2017

Scusa

Non apriranno i Tg con la notizia della tua morte. Né ti dedicheranno una strada. Non faranno funerali di Stato per te. Eppure sei una vittima di Stato. Non è vero, infatti, che ti sei suicidata: sei stata uccisa dalla retorica e dall'ipocrisia di Stato, quindi, di tutti noi. Per questo non ti dedicherò una invettiva sul marcio dei nostri tempi o parole commosse. Il silenzio dovrebbe accompagnare la tua morte, così come ha accompagnato la tua giovane vita. Chi nasce in certi contesti è condannato a delinquere o all'oblio. Lavarsi la coscienza dopo è fin troppo facile, come scrivere queste poche righe. Più difficile è la testimonianza concreta ogni giorno della tua memoria. Scusa.

lunedì 16 gennaio 2017

Maradona spiegato ai non-napoletani

No, noi napoletani non siamo tutti impazziti. La passione viscerale della città di Napoli verso Diego Armando Maradona non è irrazionale, e non attiene nemmeno alla sfera sportiva - se non in minima parte. È una questione seria, profondamente razionale, e fin troppo logica per chi conosce la città. Napoli ha una atavica fame di giustizia, perché città storicamente depredata - e qui non si tratta di un semplice fuorigioco non dato - e continuamente ingiuriata. Perché Napoli non è civile, ma civilissima - basta vedere come vota alle elezioni, mai piegata al sistema -, perennemente (e non "endemicamente" come alcuni professionisti dei piani alti vanno ripetendo) macchiata da 'na manica e fetiente che fanno comodo solamente a tutti quelli che hanno bisogno di sciacquarsi la coscienza sporca, e hanno interesse a perpetrare la retorica della Napoli delinquente e senza speranza. Se Napoli, paradossalmente, fosse abitata da soli camorristi resterebbe comunque - ad oggi - in credito verso lo Stato italiano, come tutto il sud. Perché a leggerla la Storia - quella vera, non quella ufficiale stampata e raccontata per più di un secolo dai vincitori - viene il sangue alla testa. E allora Maradona, in tutto questo, è un gigantesco 'afammocc, è un sonoro chitemmuort, un comprensibilissimo e perenne c'ata rutt 'o cazz. Maradona è il Masaniello dei giorni nostri insomma, la reificazione dell'orgoglio di un popolo. Allora non è nemmeno esagerato il San Carlo per celebrarlo. Perché Maradona "è il giocatore più forte della storia del calcio" e la storia l'ha scritta qui, con Noi - e questa storia non la può cambiare nessuno. Quello che non ha capito Gonzalo Higuain, infatti, è che uno scudetto vinto a Napoli vale dieci scudetti vinti a Torino con la Juventus: se vinci uno scudetto con il Napoli entri nei libri di Storia, con la Juve, se ti dice bene, negli almanacchi sportivi.
Quanto detto è dovuto, alla città e alla sua gente. Chi scrive tiene comunque a precisare di non essere né un neoborbonico né un nostalgico - né, tanto meno, un fanatico del gioco del calcio. Il sottoscritto è solamente un italiano napoletano, a cui, casomai, più di una volta è toccato di dover difendere il buon nome proprio di questa disgraziata Italia, da chi, ancora oggi, la violenta e la offende riscrivendone giornalmente la Storia a uso e consumo dei potenti e in culo sempre alla povera gente. Se proprio devo sottopormi alla ineluttabile gogna mediatica per quanto scritto mi costituisco volentieri, e dichiaro di essere un inguaribile innamorato revisionista... fucilatemi pure.









venerdì 7 ottobre 2016

La nuova religione, fatta di selfie e cavetti del cellulare

Qual è l'oppio dei popoli oggi? Qual è la religione del nuovo millennio? Una droga ti trascina in una condizione di irrealtà; è una mistificazione che lenisce ed eleva apparentemente il tuo reale stato/status. Un drogato non vive per drogarsi, si droga per vivere. La religione giunge a tale scopo attraverso l'aldilà. Oggi, nell'era della secolarizzazione, ciò è garantito dalla realtà "aumentata", virtuale, i social media. Come le religioni storiche anche questa ha i suoi Guru, i suoi riti. Le file fuori agli store per celebrare l'ultimo dispositivo è nient'altro che una processione di fedeli in adorazione. Alla base c'è sempre il bisogno di immortalità, di proiettare il Sé all'infinito. Il selfie denota compulsivamente questa esigenza. Il prezzo da pagare è sempre la propria anima. Tutto ciò perpetua un controllo sociale sulle masse devastante, un controllo storicamente garantito dalle religioni. Si vive estraniandosi dalla realtà, dietro uno schermo che ti fa sentire onnipotente. La nuova religione è, dunque, un improbabile apparire, il racconto ostentato  e perpetuo del proprio quotidiano salvato dall'oblio del nulla: questo sono «Io». Ma proprio tutto ciò ci rende identici a tutti gli altri. Facciamo gli stessi sogni, compriamo le stesse scarpe, abbiamo tutti il medesimo appuntamento, eterodiretti. Ed è tutto terribilmente rassicurante. Facciamo finta di crederci, questo è l'eterno mantra. La realtà è che è tutto finto.


martedì 30 agosto 2016

L'universo in 4 minuti


La grandezza dell'universo è pari solo alla superbia umana, drogata di teologia piuttosto che ammettere che siamo niente.





lunedì 19 gennaio 2015

L'isola che non c'è

Alla fine di L’attimo fuggente Neil si uccide. Come Peter Davies, il bambino che ispirò la favola di Peter Pan a James Matthew Barrie, che si tolse la vita a 63 anni. Per questo credo che l’attore Robin Williams si sia tolto la vita anche lui a 63 anni. Soffriva di una malattia neurodegenerativa chiamata “Demenza da corpi di Lewy”, malattia che si manifesta soprattutto con frequenti allucinazioni visive. Robin Williams che aveva interpretato Peter Pan, aveva scoperto, da adulto, di essere davvero Peter Pan, come nel film Hook. Ma proprio come Peter Davies si è tolto la vita, perché “se ci credi davvero, fino in fondo, sei destinato a soccombere”. Bè io credo che, almeno questa volta, il Prof. Keating non abbia ragione. So bene che oggi dichiarare di avere un sogno equivale a bestemmiare. Chi ha un sogno porta con se un marchio d’infamia per i benpensanti, come un anarchico illuso, o, peggio ancora, come un inaffidabile immaturo. Ma chi ha un sogno, e vive per esso, muore una volta sola; quelli che ci hanno rinunciato, non l’hanno mai avuto, o lo hanno semplicemente dimenticato, muoiono due volte. La prima volta già in vita, quando ammazzano i propri sogni. Sembra che continuino a vivere, ma, se li osservi bene, sono dei moribondi, ed è così la maggior parte delle persone per strada. Salvo poi colmare il vuoto esistenziale che si crea con cose molto più futili, o, peggio ancora, introiettando sogni altrui, preconfezionati, innocui e appositamente progettati per la massa. Ma la questione importante è un'altra: oggi si confondono i sogni con le ambizioni, le passioni con le voglie, la realizzazione personale con il successo e la fama. Ecco dunque la frustrazione dei più. Una umanità indistinta, come una folla di artisti falliti. Perché sognava di diventare rockstar, e non di imparare a suonare e a cantare, di avere il nome più grande sul cartellone, e non di poter recitare; oppure di guadagnare e non di fare il lavoro che ci piace, di sposarsi e non di invecchiare accanto all’amore della propria vita, o di diventare genitore e non di mettere al mondo i bambini che eravamo. Abbiamo barattato il mezzo con il fine, e il fine con il mezzo; perché abbiamo dimenticato perché valeva la pena di lavorare ogni giorno, di innamorarsi, mettere al mondo i nostri figli; perché abbiamo dimenticato perché valeva la pena vivere.

Ci insegnano tante cose da piccoli per farci diventare "adulti", ma è soprattutto quando impariamo una cosa in particolare che possiamo dirci finalmente tali: quando impariamo a non credere più a niente, quando perdiamo quella meraviglia tipica dei bambini... come se questo fosse un segno di "maturità". Quante volte abbiamo sentito dire a un bambino “lui è diventato grande, non crede più a Babbo Natale”. Arriva per tutti il giorno della disillusione, quella che ti rende adulto agli occhi degli altri. In realtà hai soltanto ucciso il bambino che era in te, una parte di te, la parte migliore di ognuno di noi. È lo scalpo da consegnare alla rispettabilità sociale, alla convivenza e alla convenienza. Ma quando non si crede più a niente arriva il giorno che finisci a fare un lavoro qualsiasi per tutta la vita, a mettere al mondo figli che non volevi e con chi non abbiamo amato mai. Finché una mattina ti svegli, e ti accorgi di aver vissuto la vita di un altro, e ormai è troppo tardi. Come tutti quelli che fanno qualcosa per vivere, e non vivono per fare qualcosa.
È la crisi più grave che stiamo vivendo, e di cui nessuno parla: abbiamo smesso di sognare. O, peggio, abbiamo ormai vergogna a dichiararci sognatori. Si dirà “i sogni sono un lusso di chi se li può permettere”. Ma quanti gran signori sono solo dei poveracci, e quanta povera gente dei gran signori. Le cose più preziose che abbiamo, l’amore, la passione, l’immaginazione, non si comprano. Ma a furia di sentir parlare di finanza ed economia, ce lo stiamo dimenticando; come se la qualità di vita si misurasse con gli indici di borsa. “Un vincitore è solo un sognatore che non ha ma smesso di sognare” diceva Mandela. Non si tratta di arrivare primi. Non è il traguardo che conta, ma la strada. E questo viaggio che chiamiamo vita è più lieve seguendo la scia alta dei sogni invece di strisciare. Sognare è una prerogativa dell'uomo, non un capriccio puerile. Se ci siamo evoluti e progrediti nei secoli è perché qualcuno, da qualche parte, non aveva mai smesso di credere al proprio sogno. “Ogni volta che un bimbo dice: 'Io non credo alle fate', c'è una fatina che, da qualche parte, cade a terra morta”, diceva Peter Pan. Pensiamoci quando giochiamo distrattamente e svogliatamente con i nostri figli o con i nostri nipoti. I bambini quando giocano fanno la cosa più importante che c’è nella vita, sognano. Quello è il momento più importante e sacro che c'è. Se noi, invece di insegnare continuamente ai bambini a diventare adulti imparassimo dai bambini l’incanto per la vita che abbiamo dimenticato, il mondo sarebbe un posto bellissimo... l’isola che non c’è. 

Tutti nasciamo allo stesso modo, ma non moriamo tutti allo stesso modo.