mercoledì 1 novembre 2023

Una spremuta d'arancia

La guerra non è la conseguenza di un dialogo non terminato o non compreso, la guerra si sceglie di farla.

Eppure, puntualmente, a commento di essa, alcuni intellettuali o esperti si affannano, come Cassandre stonate, a spiegare le ragioni dei conflitti, a raccontare lo strazio per i civili, a proporre faticosissime soluzioni.      

Cadono nell'equivoco di una presunzione moralista secondo cui il bene guiderebbe le nostre vite, come se la ragione di pochi potesse fermare la barbarie di molti. In realtà, a tanti sono ben chiare le ragioni dei conflitti, le inenarrabili tragedie che comportano, ma, nonostante questo, essi anelano la guerra e le sue conseguenze. La guerra, difatti, prima ancora che come scontro culturale e sociale, si configura come fenomeno antropologico; attiene alla costituzione primordiale del genere umano, alla violenza prevaricatrice che precede la pietà, la quale non è patrimonio genetico di tutti, ovvero al sadismo che pervade alcuni, retaggio del nostro essere animale: esseri primitivi, incivili insomma.

Alle colpe di governi sanguinari capeggiati da siffatti uomini, si somma l'ipocrisia della massa inerte a cui vengono preventivamente celati i volti e le urla strazianti delle vittime durante i reportage dai teatri di guerra. E di uno show si tratta, in effetti, edulcorato a vantaggio della cattiva coscienza collettiva, un veleno propagandisticamente somministrato a piccole dosi per renderci immuni da qualsiasi nefandezza.        

La cultura alla pace e al dialogo tra i popoli, la conoscenza possono aiutare. Ma il sentire comune è talmente anestetizzato al dolore altrui che non bastano. Bisognerebbe strappare via il sipario della messa in scena e fare pratica viva, dare letteralmente corpo alle sofferenze degli altri. Pubblicità "progresso", campagne di sensibilizzazione di massa atte a disturbare il sonno della ragione in cui siamo avviluppati, che insinuino nella cinica quotidianità i nostri simili martoriati dalla nostra indifferenza. Per i più recidivi immagino centri di educazione all'umanità, magari vecchie caserme militari in disuso. Una detenzione forzata alle pene del prossimo, con forme di coercizione alla compassione: come il "trattamento Ludovico" in Arancia Meccanica, ore ed ore di filmati senza censura dello strazio dei civili vittime di guerra, con meccanismi di costrizione oculare che non consentano di chiudere gli occhi o distogliere lo sguardo: uomini, donne e bambini in disperazione, tra cumuli di macerie, mutilazioni e morte ovunque. Cacciargli negli occhi le aberrazioni del presente, cavargli una lacrima con la forza.

Agli irrecuperabili andrebbe tolto il diritto di voto e la patria potestà, affinché non allevino altre bestie, come loro.

Nessun commento: