lunedì 19 gennaio 2015

L'isola che non c'è

Alla fine di L’attimo fuggente Neil si uccide. Come Peter Davies, il bambino che ispirò la favola di Peter Pan a James Matthew Barrie, che si tolse la vita a 63 anni. Per questo credo che l’attore Robin Williams si sia tolto la vita anche lui a 63 anni. Soffriva di una malattia neurodegenerativa chiamata “Demenza da corpi di Lewy”, malattia che si manifesta soprattutto con frequenti allucinazioni visive. Robin Williams che aveva interpretato Peter Pan, aveva scoperto, da adulto, di essere davvero Peter Pan, come nel film Hook. Ma proprio come Peter Davies si è tolto la vita, perché “se ci credi davvero, fino in fondo, sei destinato a soccombere”. Bè io credo che, almeno questa volta, il Prof. Keating non abbia ragione. So bene che oggi dichiarare di avere un sogno equivale a bestemmiare. Chi ha un sogno porta con se un marchio d’infamia per i benpensanti, come un anarchico illuso, o, peggio ancora, come un inaffidabile immaturo. Ma chi ha un sogno, e vive per esso, muore una volta sola; quelli che ci hanno rinunciato, non l’hanno mai avuto, o lo hanno semplicemente dimenticato, muoiono due volte. La prima volta già in vita, quando ammazzano i propri sogni. Sembra che continuino a vivere, ma, se li osservi bene, sono dei moribondi, ed è così la maggior parte delle persone per strada. Salvo poi colmare il vuoto esistenziale che si crea con cose molto più futili, o, peggio ancora, introiettando sogni altrui, preconfezionati, innocui e appositamente progettati per la massa. Ma la questione importante è un'altra: oggi si confondono i sogni con le ambizioni, le passioni con le voglie, la realizzazione personale con il successo e la fama. Ecco dunque la frustrazione dei più. Una umanità indistinta, come una folla di artisti falliti. Perché sognava di diventare rockstar, e non di imparare a suonare e a cantare, di avere il nome più grande sul cartellone, e non di poter recitare; oppure di guadagnare e non di fare il lavoro che ci piace, di sposarsi e non di invecchiare accanto all’amore della propria vita, o di diventare genitore e non di mettere al mondo i bambini che eravamo. Abbiamo barattato il mezzo con il fine, e il fine con il mezzo; perché abbiamo dimenticato perché valeva la pena di lavorare ogni giorno, di innamorarsi, mettere al mondo i nostri figli; perché abbiamo dimenticato perché valeva la pena vivere.

Ci insegnano tante cose da piccoli per farci diventare "adulti", ma è soprattutto quando impariamo una cosa in particolare che possiamo dirci finalmente tali: quando impariamo a non credere più a niente, quando perdiamo quella meraviglia tipica dei bambini... come se questo fosse un segno di "maturità". Quante volte abbiamo sentito dire a un bambino “lui è diventato grande, non crede più a Babbo Natale”. Arriva per tutti il giorno della disillusione, quella che ti rende adulto agli occhi degli altri. In realtà hai soltanto ucciso il bambino che era in te, una parte di te, la parte migliore di ognuno di noi. È lo scalpo da consegnare alla rispettabilità sociale, alla convivenza e alla convenienza. Ma quando non si crede più a niente arriva il giorno che finisci a fare un lavoro qualsiasi per tutta la vita, a mettere al mondo figli che non volevi e con chi non abbiamo amato mai. Finché una mattina ti svegli, e ti accorgi di aver vissuto la vita di un altro, e ormai è troppo tardi. Come tutti quelli che fanno qualcosa per vivere, e non vivono per fare qualcosa.
È la crisi più grave che stiamo vivendo, e di cui nessuno parla: abbiamo smesso di sognare. O, peggio, abbiamo ormai vergogna a dichiararci sognatori. Si dirà “i sogni sono un lusso di chi se li può permettere”. Ma quanti gran signori sono solo dei poveracci, e quanta povera gente dei gran signori. Le cose più preziose che abbiamo, l’amore, la passione, l’immaginazione, non si comprano. Ma a furia di sentir parlare di finanza ed economia, ce lo stiamo dimenticando; come se la qualità di vita si misurasse con gli indici di borsa. “Un vincitore è solo un sognatore che non ha ma smesso di sognare” diceva Mandela. Non si tratta di arrivare primi. Non è il traguardo che conta, ma la strada. E questo viaggio che chiamiamo vita è più lieve seguendo la scia alta dei sogni invece di strisciare. Sognare è una prerogativa dell'uomo, non un capriccio puerile. Se ci siamo evoluti e progrediti nei secoli è perché qualcuno, da qualche parte, non aveva mai smesso di credere al proprio sogno. “Ogni volta che un bimbo dice: 'Io non credo alle fate', c'è una fatina che, da qualche parte, cade a terra morta”, diceva Peter Pan. Pensiamoci quando giochiamo distrattamente e svogliatamente con i nostri figli o con i nostri nipoti. I bambini quando giocano fanno la cosa più importante che c’è nella vita, sognano. Quello è il momento più importante e sacro che c'è. Se noi, invece di insegnare continuamente ai bambini a diventare adulti imparassimo dai bambini l’incanto per la vita che abbiamo dimenticato, il mondo sarebbe un posto bellissimo... l’isola che non c’è. 

Tutti nasciamo allo stesso modo, ma non moriamo tutti allo stesso modo.


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