lunedì 19 gennaio 2015

Zum zum zum


    

"Zum zum zum" è l’indimenticabile sigla di Canzonissima del ’68 (qui cantata da Mina l’anno prima), quando la Rai ancora rappresentava l’eccellenza del paese e formava la coscienza civica degli italiani.  La storia che adesso i tempi sono cambiati e un certo tipo di televisione e di trasmissioni non sarebbero più possibili, non mi ha mai convinto; siamo noi a cambiare i tempi e non il contrario. Che la Rai negli ultimi anni abbia perso di autorevolezza e si sia livellata verso il basso, inseguendo l’audience della tv generalista e commerciale è un dato di fatto. Storiche maestranze e strutture svilite oggi in programmi mediocri, dove s’è perso del tutto il coraggio di produrre e presentare certi contenuti di qualità al grande pubblico. Non voglio impelagarmi in un discorso attorno alla crisi generale dell’editoria in Italia, ma gli editori per definizione sono dei facitori di cultura, e nel momento in cui abdicano a questa loro funzione, senza rendersene conto, in realtà segnano la loro stessa condanna a morte (non si capisce a che servono sennò, si facessero chiamare mercanti e basta). Non c’entra niente la crisi del mercato e della domanda, in realtà quello che si semina si raccoglie.


In realtà, quello del mercato asfittico e della domanda carente è un alibi per non confessare la propria incapacità e inadeguatezza, se non, addirittura, la malafede, mentre a vendere pornografia sono tutti bravi. Quando c’è una contrazione del mercato si investe in qualità, questa è l’unica certezza e antidoto reale alla crisi in tutti i campi, e l’editoria non fa eccezione. In Rai negli ultimi anni ci sono stati addirittura dei casi eclatanti, dove alla miopia del sistema si è aggiunto una sorta di masochismo; si è arrivati a rinnegare le firme migliori nel campo dell’informazione, giornalisti dall’audiance importante: Santoro, Floris, addirittura è stato cacciato in malo modo Enzo Biagi. Ma questo oscurantismo non si è limitato al giornalismo, ma si è riverberato su tutto il palinsesto. Si veda il caso Crozza, anch’esso eclatante a suo modo. Non essere riusciti a dare uno spazio a Maurizio Crozza nella tv pubblica ha certificato il fallimento della Rai. Ma un esempio, a me molto caro, di questa deriva, è quello della trasmissione Sostiene Bollani. Una trasmissione educativa e divertente al tempo stesso, nella migliore tradizione Rai. Uno spazio al servizio della musica di qualità, quella vera, e Dio solo sa di quanto ci sia bisogno oggi di programmi del genere in televisione, ormai invasa da programmi pseudo musicali dove la musica – e il lavoro del musicista - è mortificata e mercificata. Sostiene Bollani non solo era una eccellente trasmissione, che faceva onore alla Rai, ma aveva anche un'audiance d’ascolto più che lusinghiera; una schiera di affezionati telespettatori che aspettavano fino a tardi per guardarla. Viene da chiedersi allora come mai non è divenuta parte integrante del palinsesto Rai, perché non sono state prodotte nuove puntate, una nuova stagione, invece di essere relegata a meteora televisiva? Osservando sconcertati queste cose viene il sospetto che dietro certe scelte ci sia un disegno politico ben preciso, altro che miopia! Che qualcuno ai piani alti abbia deciso che il livello culturale medio degli italiani si abbassasse negli ultimi decenni? Maggiore è l’ignoranza della gente, più saldo è il potere in mano a chi Governa. Ma la cultura del sospetto non aiuta la causa, quindi mi ostino a propendere per la negligenza degli apparati decisionali (perché se siamo arrivati al punto che la prima industria culturale del paese – come viene da tutti intesa la Rai -  va scientemente contro i propri interessi allora l’Italia è già fallita). Quindi a costoro chiedo: perché i libri presentati in televisione, anche quelli più ostici, balzano in cima alle classifiche di vendita? La domanda di qualità c’è, è la volontà di proporre e imporre contenuti di qualità che manca. La proposta è mediocre, perché mediocri sono gli editori di oggi. Se Berlusconi è il massimo interprete dell’editoria italiana degli ultimi anni qualcosa vorrà dire. E attenzione, questo è importante sottolineare, non è che l’editoria tutta (televisiva, radiofonica e cartacea) è decrepita e moribonda perché c’è stato il berlusconismo, ma c’è stato il berlusconismo perché l’editoria è decrepita e moribonda. Il berlusconismo è stato un alibi soprattutto per l’establishment di sinistra,  che ha perso il senso della propria missione e il contatto con il proprio elettorato e il mondo reale. Quando e perché ciò sia accaduto lo ha denunciato e previsto Pasolini prima di tutti quanti, quindi non ripeterò quanto già detto da lui in modo insuperato.
Non nego che, ancora oggi, c’è una piccola editoria coriacea e coraggiosa che, nonostante le immani difficoltà, resiste ancora. In televisione, che è ancora oggi il maggior mezzo attraverso cui la gente s’informa e si fa una idea del contesto storico in cui vive, gli esempi di resistenza alla massificazione ci sono. Non mi riferisco però al proliferare dei talk show, che non è, come sembrerebbe, un segno di salute del sistema d’informazione. Questo proliferare di voci in realtà svuota di senso quei contenitori, come ha sottolineato perfettamente Santoro, rendendoli del tutto inefficaci, se non addirittura controproducenti per una fruizione davvero critica da parte del telespettatore (anche qui si potrebbe pensare che dietro questo proliferare di voci ci sia, in realtà, un disegno ben deciso, cioè la volontà di confondere e creare un guazzabuglio di opinioni indistinte, piuttosto che stimolare una riflessione di chi è a casa). Il risultato è che la gente ormai è del tutto assuefatta e inerte a qualsiasi notizia gli venga data, anche da encomiabili programmi d’inchiesta giornalistica come Report. Se si conviene, con Pasolini, che il degrado italiano è, alla sua radice, sociale e culturale prima ancora che questione economica, allora le trasmissioni televisive realmente funzionali a rammendare questo strappo con la realtà e deputate alla formazione di una rinata coscienza critica del telespettatore sono, e dovrebbero essere, quelle a carattere prettamente culturale divulgativo. Quel tipo di format è deputato a ciò, ed è a tale tipo di trasmissioni che è affidato l’onere di sporcarsi le mani e di fare il grosso del servizio pubblico oggi, soprattutto per le difficoltà in cui versano oggi altri tipi format, come ho detto. Ora, premesso che da chi hai poca stima non ti aspetti nulla, e, quindi, non prendi nemmeno in considerazione, mentre insorgi verso coloro nei quali hai riposto credito e fiducia, io trovo che molto in questo senso potrebbe fare Fabio Fazio, la cui sorte a venire io trovo sia emblematica di ciò che bisogna scongiurare oggi in tale tipo di programmi. È solo un esempio tra gli altri, ma di certo Fabio Fazio è uno di quelli a cui spetta il compito di tirare fuori la Rai dal pantano e riprendere il filo di quella nobile tradizione televisiva che ha accompagnato il paese nella sua crescita e nella costruzione di un sentire comune popolare. Se ne sente un grande bisogno, perché si parla molto della crisi economica in televisione, mentre non sembra interessare a nessuno la profonda crisi sociale e culturale del paese. C’è oggi un mondo di reietti, un’intera generazione di giovani e non, che chiede asilo, e mamma Rai dovrebbe corrispondere con più vigore a queste urgenze e istanze contemporanee. Non dico che Fazio si sottragga al compito - infatti non auspico un cambio di contenuti, che non trovo siano elusi -, ma un cambio di registro.
Non so se va a sostegno di Fazio il fatto di non essere rientrato, al tempo, nel famoso editto bulgaro. Il suo profilo storicamente basso sicuramente è servito a preservare un luogo di dissenso, una riserva di democrazia, durante il ventennio berlusconiano, quando bisognava resistere all’'invasore'; ma è quando ci si è liberati dal cappio che bisogna liberare la propria voce, essere intransigenti ed esporsi senza risparmiarsi, per ricostruire dalle macerie. Il mio timore - e la ragione di questo post - è che adesso sia troppo grande la tentazione di adagiarsi al renzismo, anche per una sorta di sfinimento dopo la lunga traversata e il pericolo scampato. Non vorrei che dopo Berlusconi si prendesse per buono tutto quello che viene. Già una volta dopo le derive fasciste – e sfasciste - siamo morti democristiani, e questo non dovrà riaccadere. Sarebbe il colpo di grazia per l’Italia, almeno per come l’abbiamo conosciuta, o, quantomeno, per come abbiamo sognato che fosse. Non so se ci sarà un’altra chance per l’Italia dopo questa. Perciò, consegnare il paese in mano al pensiero unico è il pericolo che oggi bisogna scongiurare. Sopra certe percentuali il pensiero dominante è sempre pericoloso a prescindere dal relatore; è una distorsione della democrazia e un suo detrimento, e purtroppo già ci sono i sintomi di un autoritarismo in atto.
Non sto dicendo a Fazio di fare programmi militanti o di abbracciare chissà quale fazione minoritaria, ma di dare spazio al dissenso che pure c’è, di fomentarlo (il che non significa soffiare sulla protesta). Non basta confinare la parte più corrosiva dei programmi al riparo della satira, consegnandola, ad esempio, a Luciana Litizzetto. Lei è bravissima e simpaticissima, ma non basta questo a lavarsi la coscienza; è ipocrita la critica fatta in questo modo. In periodi difficili e di epurazioni questo è il massimo che si possa fare, ma ora no. Anche gli editoriali di Gramellini, alla fine, puzzano di sterile conformismo, di perbenismo salottiero del tutto inconcludente, e con la disoccupazione giovanile al 40% e con circa 6 milioni di poveri dietro lo schermo tutto ciò risulta ‘sinistramente’ ecumenico e basta. Non accuso Fazio di essere diventato improvvisamente un cortigiano del potere, dico solo di scongiurare il rischio di un miope appiattimento filo governativo. Adesso che si può e si deve osare. Non ci sono più gli alibi che hanno fornito i Governi precedenti in gran quantità. Non è più il tempo del politically correct, del garbo che si deve verso le Istituzioni, le quali, ormai da tempo, hanno tradito la fiducia della gente. Ora che si può osare, Fazio, come altri che hanno a disposizione uno spazio e un’audience qualificata (per dirla alla D’Alema, “quelli che le cose le sanno”) potrebbe, e dovrebbe fare molto di più in questo senso. Bisogna pungolare e sfidare Renzi e il suo Governo sui temi della democrazia, marcando la differenza tra decisionismo e autoritarismo. Per farlo, chi può, deve mettere il credito e lo spazio faticosamente conquistato negli anni, al servizio della gente e del dissenso che c’è, con coraggio, non per sposarne le ragioni, ma quasi per principio. Insomma, quando ci sono i prodromi del pensiero unico, l’unico antidoto è la contro-cultura, e chi può deve sostenerla. Basta ovattare ed edulcorare la realtà per essere fedeli alla scelta di una linea editoriale volutamente dal registro educato; in un periodo di piena stagnazione economica (e morale) si rischia solo di essere infedeli al proprio pubblico e alla propria coscienza. Ora è il momento di cambiare marcia, e se per farlo bisogna alzare metaforicamente i toni, va fatto. I segnali di insofferenza al dissenso (come gli attacchi rudi al sindacato e le prime manganellate) in tal senso devono incitare in questa direzione ancora più decisamente. Se non lo si fa ora, con una sedicente classe politica nuova e riformista al Governo, non lo si farà mai più, e anche tutte le lotte e la resistenza fatta in passato non avranno avuto alcun senso. Anche la resistenza partigiana e i padri costituenti, ripeto, hanno visto svilite e svanite le proprie lotte in 40 anni di democrazia cristiana e in un’Italia piccolo borghese. Questo è il rischio che oggi bisogna scongiurare. Anche perché, molto probabilmente, per l’Italia non ci sarà un’altra occasione. 
Roberto Saviano, tanto caro a Fazio, a cui va riconosciuto il merito di averlo coraggiosamente portato in televisione, per perorare le sue nobili ragioni non ha mai fatto sconti prima di tutto a se stesso. Si è sempre messo in gioco in prima persona, con il rischio di essere frainteso, di perderci la faccia, se non, addirittura, la vita. Ecco, non si può perorare grandi cause senza esporsi personalmente in prima persona, questo io credo. Se non sei in trincea in prima persona le tue battaglie sono finte!  Forse la strada è proprio quella delle trasmissioni fatte con Saviano, coraggiose ed iconoclaste col potere, da qualsiasi parte questo potere provenga, anche se dal salotto di casa propria.

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