"Zum zum zum" è l’indimenticabile sigla
di Canzonissima del ’68 (qui cantata
da Mina l’anno prima), quando la Rai ancora rappresentava l’eccellenza del
paese e formava la coscienza civica degli italiani. La storia che adesso i tempi sono cambiati e
un certo tipo di televisione e di trasmissioni non sarebbero più possibili, non
mi ha mai convinto; siamo noi a cambiare i tempi e non il contrario. Che la Rai negli ultimi anni abbia perso di autorevolezza e si sia livellata verso il basso, inseguendo
l’audience della tv generalista e commerciale è un dato di fatto. Storiche maestranze
e strutture svilite oggi in programmi mediocri, dove s’è perso del tutto il
coraggio di produrre e presentare certi contenuti di qualità al grande
pubblico. Non voglio impelagarmi in un discorso attorno alla crisi generale
dell’editoria in Italia, ma gli editori per definizione sono dei facitori di
cultura, e nel momento in cui abdicano a questa loro funzione, senza rendersene
conto, in realtà segnano la loro stessa condanna a morte (non si capisce a che servono sennò, si facessero chiamare mercanti e basta). Non c’entra niente la
crisi del mercato e della domanda, in realtà quello che si semina si raccoglie.
In realtà, quello del mercato asfittico e della domanda carente è un alibi per non
confessare la propria incapacità e inadeguatezza, se non, addirittura, la
malafede, mentre a vendere pornografia sono tutti bravi. Quando c’è una
contrazione del mercato si investe in qualità, questa è l’unica certezza e
antidoto reale alla crisi in tutti i campi, e l’editoria non fa eccezione. In
Rai negli ultimi anni ci sono stati addirittura dei casi eclatanti, dove alla
miopia del sistema si è aggiunto una sorta di masochismo; si è arrivati a
rinnegare le firme migliori nel campo dell’informazione, giornalisti
dall’audiance importante: Santoro, Floris, addirittura è stato cacciato in malo
modo Enzo Biagi. Ma questo oscurantismo non si è limitato al giornalismo, ma si è
riverberato su tutto il palinsesto. Si veda il caso Crozza, anch’esso eclatante a suo modo.
Non essere riusciti a dare uno spazio a Maurizio Crozza nella tv pubblica ha
certificato il fallimento della Rai. Ma un esempio, a me molto caro, di questa
deriva, è quello della trasmissione Sostiene
Bollani. Una trasmissione educativa e divertente al tempo stesso, nella
migliore tradizione Rai. Uno spazio al servizio della musica di qualità, quella
vera, e Dio solo sa di quanto ci sia bisogno oggi di programmi del genere in
televisione, ormai invasa da programmi pseudo musicali dove la musica – e il
lavoro del musicista - è mortificata e mercificata. Sostiene Bollani non solo
era una eccellente trasmissione, che faceva onore alla Rai, ma aveva anche un'audiance d’ascolto più che lusinghiera; una schiera di affezionati
telespettatori che aspettavano fino a tardi per guardarla. Viene da chiedersi allora
come mai non è divenuta parte integrante del palinsesto Rai, perché non sono
state prodotte nuove puntate, una nuova stagione, invece di essere relegata a
meteora televisiva? Osservando sconcertati queste cose viene il sospetto che
dietro certe scelte ci sia un disegno politico ben preciso, altro che miopia!
Che qualcuno ai piani alti abbia deciso che il livello culturale medio degli
italiani si abbassasse negli ultimi decenni? Maggiore è l’ignoranza della gente,
più saldo è il potere in mano a chi Governa. Ma la cultura del sospetto non aiuta
la causa, quindi mi ostino a propendere per la negligenza degli apparati
decisionali (perché se siamo arrivati al punto che la prima industria culturale
del paese – come viene da tutti intesa la Rai - va scientemente contro i propri interessi
allora l’Italia è già fallita). Quindi a costoro chiedo: perché i
libri presentati in televisione, anche quelli più ostici, balzano in cima alle
classifiche di vendita? La domanda di qualità c’è, è la volontà di proporre e
imporre contenuti di qualità che manca. La proposta è mediocre, perché mediocri
sono gli editori di oggi. Se Berlusconi è il massimo interprete dell’editoria
italiana degli ultimi anni qualcosa vorrà dire. E attenzione, questo è
importante sottolineare, non è che l’editoria tutta (televisiva, radiofonica e
cartacea) è decrepita e moribonda perché c’è stato il berlusconismo, ma c’è
stato il berlusconismo perché l’editoria è decrepita e moribonda. Il berlusconismo
è stato un alibi soprattutto per l’establishment di sinistra, che ha perso il senso della propria missione e il contatto con il proprio elettorato e
il mondo reale. Quando e perché ciò sia accaduto lo ha denunciato e previsto Pasolini
prima di tutti quanti, quindi non ripeterò quanto già detto da lui in modo
insuperato.
Non nego che, ancora oggi, c’è
una piccola editoria coriacea e coraggiosa che, nonostante le immani
difficoltà, resiste ancora. In televisione, che è ancora oggi il maggior mezzo
attraverso cui la gente s’informa e si fa una idea del contesto storico in cui
vive, gli esempi di resistenza alla massificazione ci sono. Non mi riferisco
però al proliferare dei talk show, che non è, come sembrerebbe, un segno di salute
del sistema d’informazione. Questo proliferare di voci in realtà svuota di
senso quei contenitori, come ha sottolineato perfettamente Santoro, rendendoli
del tutto inefficaci, se non addirittura controproducenti per una fruizione davvero
critica da parte del telespettatore (anche qui si potrebbe pensare che dietro
questo proliferare di voci ci sia, in realtà, un disegno ben deciso, cioè la
volontà di confondere e creare un guazzabuglio di opinioni indistinte,
piuttosto che stimolare una riflessione di chi è a casa). Il risultato è che la
gente ormai è del tutto assuefatta e inerte a qualsiasi notizia gli venga data,
anche da encomiabili programmi d’inchiesta giornalistica come Report. Se si conviene, con Pasolini, che
il degrado italiano è, alla sua radice, sociale e culturale prima ancora che
questione economica, allora le trasmissioni televisive realmente funzionali a
rammendare questo strappo con la realtà e deputate alla formazione di una
rinata coscienza critica del telespettatore sono, e dovrebbero essere, quelle a
carattere prettamente culturale divulgativo. Quel tipo di format è deputato a
ciò, ed è a tale tipo di trasmissioni che è affidato l’onere di sporcarsi le
mani e di fare il grosso del servizio pubblico oggi, soprattutto per le difficoltà
in cui versano oggi altri tipi format, come ho detto. Ora, premesso che da chi
hai poca stima non ti aspetti nulla, e, quindi, non prendi nemmeno in
considerazione, mentre insorgi verso coloro nei quali hai riposto credito e fiducia, io trovo che molto in questo
senso potrebbe fare Fabio Fazio, la cui sorte a venire io trovo sia emblematica
di ciò che bisogna scongiurare oggi in tale tipo di programmi. È solo un
esempio tra gli altri, ma di certo Fabio Fazio è uno di quelli a cui spetta il
compito di tirare fuori la Rai dal pantano e riprendere il filo di quella nobile
tradizione televisiva che ha accompagnato il paese nella sua crescita e nella
costruzione di un sentire comune popolare. Se ne sente un grande bisogno,
perché si parla molto della crisi economica in televisione, mentre non sembra
interessare a nessuno la profonda crisi sociale e culturale del paese. C’è oggi
un mondo di reietti, un’intera generazione di giovani e non, che chiede asilo,
e mamma Rai dovrebbe corrispondere con più vigore a queste urgenze e istanze
contemporanee. Non dico che Fazio si sottragga al compito - infatti non auspico
un cambio di contenuti, che non trovo siano elusi -, ma un cambio di registro.
Non so se va a sostegno di Fazio
il fatto di non essere rientrato, al tempo, nel famoso editto bulgaro. Il suo profilo storicamente basso sicuramente è servito a
preservare un luogo di dissenso, una riserva di democrazia, durante il
ventennio berlusconiano, quando bisognava resistere all’'invasore'; ma è quando
ci si è liberati dal cappio che bisogna liberare la propria voce, essere
intransigenti ed esporsi senza risparmiarsi, per ricostruire dalle macerie. Il
mio timore - e la ragione di questo post - è che adesso sia troppo grande la
tentazione di adagiarsi al renzismo, anche per una sorta di sfinimento dopo la
lunga traversata e il pericolo scampato. Non vorrei che dopo Berlusconi si
prendesse per buono tutto quello che viene. Già una volta dopo le derive fasciste
– e sfasciste - siamo morti democristiani, e questo non dovrà riaccadere. Sarebbe il colpo di grazia per l’Italia, almeno per come l’abbiamo conosciuta,
o, quantomeno, per come abbiamo sognato che fosse. Non so se ci sarà un’altra chance per l’Italia dopo questa. Perciò, consegnare
il paese in mano al pensiero unico è il pericolo che oggi bisogna scongiurare. Sopra
certe percentuali il pensiero dominante è sempre pericoloso a prescindere dal
relatore; è una distorsione della democrazia e un suo detrimento, e purtroppo
già ci sono i sintomi di un autoritarismo in atto.
Non sto dicendo a Fazio di fare programmi
militanti o di abbracciare chissà quale fazione minoritaria, ma di dare spazio
al dissenso che pure c’è, di fomentarlo (il che non significa soffiare
sulla protesta). Non basta confinare la parte più corrosiva dei programmi al
riparo della satira, consegnandola, ad esempio, a Luciana Litizzetto. Lei è bravissima e simpaticissima, ma non basta questo a lavarsi la coscienza; è ipocrita la critica fatta in questo modo. In periodi difficili e di
epurazioni questo è il massimo che si possa fare, ma ora no. Anche gli
editoriali di Gramellini, alla fine, puzzano di sterile conformismo, di
perbenismo salottiero del tutto inconcludente, e con la disoccupazione giovanile
al 40% e con circa 6 milioni di poveri dietro lo schermo tutto ciò risulta ‘sinistramente’
ecumenico e basta. Non accuso Fazio di essere diventato improvvisamente un
cortigiano del potere, dico solo di scongiurare il rischio di un miope appiattimento
filo governativo. Adesso che si può e si deve osare. Non ci sono più gli alibi che
hanno fornito i Governi precedenti in gran quantità. Non è più il tempo del politically correct, del garbo che si
deve verso le Istituzioni, le quali, ormai da tempo, hanno tradito la fiducia
della gente. Ora che si può osare, Fazio, come altri che hanno a disposizione uno
spazio e un’audience qualificata (per
dirla alla D’Alema, “quelli che le cose le sanno”) potrebbe, e dovrebbe fare
molto di più in questo senso. Bisogna pungolare e sfidare Renzi e il suo Governo
sui temi della democrazia, marcando la differenza tra decisionismo e
autoritarismo. Per farlo, chi può, deve mettere il credito e lo spazio
faticosamente conquistato negli anni, al servizio della gente e del dissenso
che c’è, con coraggio, non per sposarne le ragioni, ma quasi per principio. Insomma, quando ci sono i prodromi del pensiero unico, l’unico antidoto è la
contro-cultura, e chi può deve sostenerla. Basta ovattare ed edulcorare la
realtà per essere fedeli alla scelta di una linea editoriale volutamente dal
registro educato; in un periodo di piena stagnazione economica (e morale) si
rischia solo di essere infedeli al proprio pubblico e alla propria coscienza.
Ora è il momento di cambiare marcia, e se per farlo bisogna alzare
metaforicamente i toni, va fatto. I segnali di insofferenza al dissenso (come
gli attacchi rudi al sindacato e le prime manganellate) in tal senso devono
incitare in questa direzione ancora più decisamente. Se non lo si fa ora, con
una sedicente classe politica nuova e riformista al Governo, non lo si farà mai
più, e anche tutte le lotte e la resistenza fatta in passato non avranno avuto
alcun senso. Anche la resistenza partigiana e i padri costituenti, ripeto, hanno
visto svilite e svanite le proprie lotte in 40 anni di democrazia cristiana e in
un’Italia piccolo borghese. Questo è il rischio che oggi bisogna scongiurare.
Anche perché, molto probabilmente, per l’Italia non ci sarà un’altra occasione.
Roberto Saviano, tanto caro a
Fazio, a cui va riconosciuto il merito di averlo coraggiosamente portato in
televisione, per perorare le sue nobili ragioni non ha mai fatto sconti prima
di tutto a se stesso. Si è sempre messo in gioco in prima persona, con il
rischio di essere frainteso, di perderci la faccia, se non, addirittura, la
vita. Ecco, non si può perorare grandi cause senza esporsi personalmente in
prima persona, questo io credo. Se non sei in trincea in prima persona le tue
battaglie sono finte! Forse la strada è proprio
quella delle trasmissioni fatte con Saviano, coraggiose ed iconoclaste col
potere, da qualsiasi parte questo potere provenga, anche se dal salotto di casa
propria.
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