giovedì 21 gennaio 2016

Il frainteso egualitarismo del Movimento Cinque Stelle, Quarto docet

L'Italia repubblicana è stata spolpata e minata dal più bieco partitismo, da una plutocrazia che, anche dopo la fine della prima Repubblica, ha perseverato, in peggio, smarrendo qualsiasi pudore, sdoganando il peggio di se stessa e del paese. Il sano e vitale rigurgito a tutto questo è stato raccolto dal Movimento Cinque Stelle, al quale, anche dai suoi più acerrimi detrattori, va dato il merito di aver canalizzato democraticamente il malessere sacrosanto di parte della società "civile". Ma non solo di partitismo si può morire, anche di attivismo. Si prendano ad esempio le primarie Cinque Stelle al comune di Milano: la vincitrice Patrizia Bedori è sicuramente una bravissima persona a cui non si può dir nulla di male, ma nemmeno nulla di buono, ed è questo il punto. L'onestà è una condizione necessaria, ma non sufficiente per amministrare la cosa pubblica; il rischio è di scoprirsi inadeguati al ruolo appena le cose si complicano, e di sfaldarsi come Movimento alla prova dei fatti, con buona pace dei buoni propositi che diventano stracci in faccia. Le vicende dei sindaci di Parma, Livorno e Quarto ne sono la prova. I sindaci espressione degli altri partiti in Parlamento non sono meglio di quelli Cinque Stelle, anzi, ma è mai possibile che l'Italia abbia rinunciato ad avere una classe politica di professione onesta e preparata insieme? De Gasperi non è stato raccattato da una riunione di condominio e portato allo scranno di Presidente del Consiglio; non è che il mercato rionale è pieno di statisti che fanno la spesa. La politica è una cosa molto complessa, e non c'è nulla di male a definirla una professione: se uno non può dirsi architetto o insegnante senza un curriculum accademico ad hoc ed una comprovata esperienza sul campo, non vedo perché, in questo paese, chiunque possa invece avere la pretesa di improvvisarsi politico (tanto più che i danni procurati da un architetto incapace sono decisamente inferiori rispetto a quelli causati da un politico maldestro). Casomai la questione è sempre più quella di vigilare la classe dirigente affinché operi effettivamente nell'interesse comune. Non a caso al M5S riesce meglio - e più "naturale" - fare l'opposizione invece che governare, proprio perché in una democrazia i cittadini comuni sono chiamati a vigilare, nient'altro. 


Ma per un movimento in crescita che ha pretese di governo, questo non basta. Come i tanto vituperati partiti, ha il dovere di dotarsi di una Segreteria (chiamatela pure direttorio, ma sempre quello è) che si prenda la responsabilità di presentare dei propri nomi a qualsiasi livello, ritenuti autoritari e qualificati per il ruolo, garantendo per essi (così come è stato fatto dal M5S per l'elezione del Presidente della Repubblica), e non spalleggiare una fantomatica "democrazia dal basso" che suona obiettivamente bene, ma che, all'atto pratico, non significa assolutamente nulla, ed è addirittura deleteria. La cosa più triste che possa capitare ad un paese, infatti, è scoprire che i suoi cittadini non sono meglio della classe politica che l'ha portata alla rovina. Con il sistema di elezione dei propri rappresentanti adottato dal M5S è quello che si rischia: se fallisse il progetto, alla fine non ci sarebbe ragione di credere più a niente e a nessuno, e sarebbe la vera fine. Una democrazia matura non è quella governata dai cittadini, ma quella guidata da una classe politica degna e capace. La storia ci insegna -  purtroppo - che la politica è un processo verticale, non orizzontale; lo stesso Rinascimento, ciclicamente evocato quale esempio di riscatto italiota, è stato il frutto di una oligarchia al potere. Paradossalmente a rileggere il passato sembrerebbe meglio per le sorti dell'Italia un'autocrazia illuminata piuttosto che una democrazia rissosa e inconcludente. Ma la Repubblica è stata una conquista di civiltà e questo è fuori di discussione, però bisogna fare un'attenta e serena riflessione sulla qualità della nostra democrazia oggi, e non una sterile battaglia sul suo grado di propagazione. La retorica dell'"uno vale uno" non porta a nulla, la democrazia non si vende a tanto al chilo, e questo il M5S lo deve capire se vuole ergersi realmente a forza di governo. Piuttosto che impiccarsi ad un frainteso egualitarismo abbia il coraggio di "governare", formando una propria classe dirigente da sottoporre al giudizio dei cittadini, com'è giusto che sia. Il verbo "governare" implica un principio di responsabilità e di autorità a cui non ci si può sottrarre; chi si prende l'onere di amministrare una comunità non può semplicemente assicurarsi di mettere un incensurato su di una poltrona e poi chiamarsi fuori alle prime difficoltà (vedi sempre Quarto). Oltretutto governare spesso significa fare scelte impopolari per il bene di tutti, e la logica interna del Movimento questo non lo consente. Bisogna infatti sempre diffidare dalle assemblee per alzata di mano, perché quasi mai la maggioranza ha ragione (vedi Gesù e Barabba). Di sicuro non è così che si guida una nazione. Anche la regola delle due legislature non sta in piedi: se trovo un ministro o un amministratore bravo voglio che stia al suo posto in eterno, non che vada via. E' come mandare a casa un primario bravo da un ospedale perché è scaduto il suo tempo. L'Italia, e il suo prossimo futuro, di tutto ha bisogno tranne che dell'autolesionismo del M5S. 

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