Il Partito Democratico è alle prese con una profonda crisi d'identità, è in piena crisi di nervi. È scosso alla base da un dubbio amletico: se sia meglio un partito di iscritti o di elettori, se sia meglio essere o apparire. Qualche tempo fa il quotidiano «laRepubblica» ha riportato del calo di iscritti del Pd del 2014 rispetto all'anno precedente; 100 mila tesseramenti a fronte dei circa mezzo milione del 2013. Si tratterebbe, quindi, di una emorragia di circa 400 mila voti che sembrerebbero in contraddizione con l'exploit alle ultime europee, dove il Pd ha superato il 40%. Ma questi due dati non sono assolutamente in contraddizione tra di loro, perchè presuppongo due partiti strutturati e pensati completamente diversi. Un segretario di partito che si presenta negli studi televisivi in camicia, smanicato, per rispondere delle questioni del Governo o delle tensioni interne al proprio schieramento, evidentemente è un segretario che non crede alla democrazia partecipata, ma che fa piuttosto attenzione al marketing, al modo di apparire per accalappiare consenso e voti. Un segretario, insomma, che è votato al partito verticistico, guidato come un'azienda che non fa riferimento ad una base consolidata e ai suoi valori di riferimento, ma che guarda a 360 gradi al consenso mediatico. Non a caso l'empatia e la sintonia con Berlusconi è reciproca, si capiscono al volo, declinando lo stesso verbo. La forma è il contenuto: Berlusconi con la rassicurante cravatta a pois e Renzi con la familiarità della camicia smanicata.
Renzi, da giovane militante del Pd, deve aver guardato affascinato al carisma berlusconiano e alla sua ascesa al potere. I siparietti comici documentati da Striscia la Notizia dove si vede un giovanissimo Renzi che imita Berlusconi stanno a testimoniare questo. Di certo non era indifferente al personaggio. Anzi, Renzi deve aver studiato Berlusconi e deve aver pensato, magari in buona fede, di declinare il berlusconismo con i valori della sinistra per portarla finalmente al successo. E i numeri sembrano dargli ragione. Ha esplicitamente detto "meglio poche tessere, ma le urne piene". Ma avrebbe ragione se lo spessore politico di un Governo si misurasse dal consenso, se fosse una mera questione algebrica, e se la politica non fosse, invece, maledettamente intrisa di passioni e di ideali. Renzi, poi, è abbastanza scafato da sapere che il consenso può essere più o meno estorto con una buona campagna mediatica, cosa in cui lui tra l'altro eccelle. Basti guardare all'operazione degli ottanta euro in busta paga prima delle elezioni europee. In ciò Renzi non è stato affatto un rottamatore del malcostume della vecchia classe politica italiana; quello di ricordarsi dei cittadini con manovre populiste prima di elezioni è un vecchio sistema usato dalla politica, una sorta di voto di scambio. Berlusconi promise l'abolizione dell'IMU e Renzi non è stato da meno. Io penso che l'alluvione di Genova abbia solo smascherato l'ipocrisia della sedicente 'nuova' classe politica al Governo. Se l'alluvione fosse capitata a ridosso di elezioni io sono convinto che avremmo assistito - senza vergogna - alla tradizionale sfilata di politici che infatti non c'è stata; la politica si ricorda concretamente della gente, stranamente, solo quando serve a lei. La politica, quella veramente al servizio dei cittadini, non si misura dal consenso che ha, ma dai valori che trasmette, promuove e, soprattutto, mette in opera.
Non mi pare che Berlinguer barattasse le sue idee e i suoi ideali sulla base di una mera convenienza algebrica alle urne. Anzi, in un periodo di crisi come questo, le cose giuste da farsi spesso solo le più impopolari. Quando Renzi dice di aver portato il consenso del Pd oltre quello del Partito Comunista di Berlinguer sbaglia, perchè Berlinguer non si sarebbe mai chiuso con Berlusconi al Nazareno per fare un patto. Sa benissimo che il 34% raggiunto da Berlinguer erano tutti voti di sinistra, mentre il 41% raggiunto da lui alle ultime europee è il frutto di una migrazione di voti di centrodestra verso lui, cosa, tra l'altro, a cui ha sempre detto di mirare. Non ci sarebbe nulla di male se a franare verso destra non fossero anche le proposte, come l'abolizione dell'articolo 18 sta a testimoniare. L'impressione e la preoccupazione di molti, infatti, è che non sia tanto l'elettorato di centrodestra a convertirsi verso sinistra, ma che siano le ragioni della sinistra che si stiano prostituendo verso destra. Non c'è nulla di cui vantarsi quando a prevalere è la conta dei numeri sugli ideali; si può vincere con i voti e perdere completamente il senso della propria lotta politica.
Certo il mondo corre veloce, e bisogna rinnovarsi per essere all'altezza della sfide che il nuovo mercato del lavoro ci propone. È da ingenui, oltre che da masochisti, far riferimento a un mondo che è stato completamente stravolto - se non è addirittura scomparso - sotto i colpi della globalizzazione, e che non potrà mai tornare ad essere quello che era prima. Ma bisogna chiedersi, piuttosto, come sta cambiando, in meglio o in peggio. Renzi ha l'onere di traghettarci in questo difficile periodo di transizione, e deve fare molta attenzione. Gli basti guardare, ad esempio, cosa è diventata la gloriosa Rai negli ultimi venti anni seguendo le ricette della tv generalista e commerciale di Berlusconi (televisione di cui lui era un affezionato e accanito telespettatore, vista la sua partecipazione come concorrente alla "Ruota della Fortuna" di Mike Buongiorno). Inseguire l'auditel - il consenso nel suo caso - può portare a grossi profitti a breve termine (è un po' la logica miope che sta dietro all'anticipo del TFR in busta paga per i lavoratori, avere tutto e subito). Ma queste logiche alla lunga portano al depauperamento sociale e culturale del paese, oltre che alla perdita di credibilità e di dignità dell'intera classe politica e del tradimento della fiducia insita in quel consenso. Parafrasando Gaber "la politica è partecipazione" e noi di one man show alla finestra ne abbiamo avuti già abbastanza in Italia. Renzi dice "lasciatemi provare, poi, se fallisco, vado a casa". A parte che anche questo è un vecchio mantra della classe politica nostrana e, quindi, anche in questo non si dimostra affatto un rottamatore (l'ha detto anche Berlusconi, e tanti altri prima di lui). Ma Renzi dimentica di dire la cosa più importante, che se fallisce lui fallisce l'intera Italia e noi questo non lo possiamo permettere. Dispiace per il suo smisurato ego, ma non possiamo fare la fine del Pequod.
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